Si
sono sciolti i cani
(nel
mio quartiere)
Così
l'altro ieri ho fatto una gita, di quelle che lo scorso anno ne
facevo tante. Ma l'altro ieri è stato diverso. Ero accompagnata da
due guardie del corpo e io non mi sentivo poi così male. Arrivata a
destinazione ho suonato il campanello. Il tizio vestito di azzurro
verde con le maniche tirate sù mi guarda in silenzio con aria quasi
di sfida. Allora io dico, anche un pò sommessa, "le devo dire
come sto?" No, dice lui, se vuole ordinarmi una pizza. Io avevo
capito che non ero in una pizzeria. E ho detto tutto quello che
dovevo dire. Lui allora mi dice, "ma sti farmaci chi le ha detto
di prenderli?" E io quasi confusa "Mia mamma". A quel
punto il mio accompagnatore numero uno o due si allontana, e arriva
ancora del silenzio. E aggiunge ..."Sua madre è medico
infermiere ..." No, è solo mia mamma. E anche l'accompagnatore
numero due uno si allontana. E io rimango zitta. Lui anche rimane
zitto. E da lì è iniziata la storia di alice nel paese delle
meraviglie.
CAPITOLO
UNO
Vivo
in un condominio ai margini della città. Benchè sia situato al
centro della periferia della grande città, il mio condominio ha
tutte le caratteristiche di un condominio che potrebbe essere ai
margini dei margini della periferia della periferia della città. Ci
sono ad esempio gli scarafaggi. Quelli marroni e quelli neri. Grandi
e piccoli. Famiglie inseparabili, probabilmente del sud, che non si
allontanano mai da tutti i parenti. E li vedi subito. Subito nel
cortile del mio condominio. Ciondolano. Tutto il giorno, ma
sopratutto la notte. Poi sulle scale. E ciondolano anche lì. E
infine direttamente in tutti gli appartamenti del mio condominio. Io
però sono più fortunata della Signora che vive al piano di sotto.
Lei mi ha raccontato che se li trova direttamente nel letto, che le
cadono dall'alto, che si arrampicano e poi prendono il volo per
planare sul suo guanciale. Che schifo. Non ho dormito per una
settimana dopo che me lo ha detto. Non mi è mai successo per
fortuna. Da me arrivano la mattina per lo più.
Appena
sono arrivata qui, mi si è presentata davanti una scala, di quelle
toste e dure da affrontare solo tre piani ma che quando li facevi
parevano dodici. Arrivata in cima ho trovato una porta, proprio a
fronte, una porta in legno, una porta che credevo portasse
direttamente aperta, alla mia nuova casa. Invece no. La porta
nascondeva un lunghissimo e spazioso e anche luminoso corridoio.
Enorme. Grande. E lungo la navata altre tre porte. Anche se la prima
cosa che ho notato non erano affatto le porte. Ma un enorme massa che
al principio pareva indefinita. Ma ad seconda occhiata si poteva
anche catalogare con: due cassettiere sul lato sinistro, un armadio
frantumato sul lato destro, uno specchio appoggiato sempre situato al
lato destro, lì dove c'era l'armadio, una scarpiera, piena e colma,
un altro piccolo tavolino giusto all'ingresso, e al fondo di tutto,
una incredibile e spettacolare porta finestra d'acciaio che faceva
uscire tutta la luce del giorno e faceva uscire anche due maestosi
stendini carichi di vestiti messi massicciamente proprio lì davanti
e … meraviglia delle meraviglie, una altro grande stendino, messo
proprio fuori dalla porta finestra, attaccato con una corda spessa
sulla ringhiera del balconcino e lasciato lì, sospeso nell'aria, tra
la porta finestra e il vuoto. Dio esiste allora. Ed esisterà anche
il mio appartamento. Ma dove? Sarà la porta a fianco dell'armadio?
Quella a fianco della cassettiera? No. Era proprio quello davanti
agli stendini. Non gli stendini davanti alla mia porta. Ma la mia
porta davanti gli stendini. Nonostante tutti gli ostacoli sono
riuscita ad aprire finalmente la porta. E ancora più finalmente sono
entrata. Nella mia nuova casa.
Non
prima però di essermi imbattuta con i miei vicini di casa. Mi ci
sono imbattuta perchè nonostante casa loro fosse quella porta
centrale sul corridoio, la porta che si trovava di fianco la
scarpiera, loro, si trovavano davanti alla porta di casa mia, davanti
agli stendini, di fianco la porta finestra di fronte al grande
stendino sospeso nel vento. Stanno fumando. E bevendo piccoli
bicchierini di vodka. Ancora fumando del tabacco. La prima cosa che
penso è, che puzza, la seconda è, perchè stanno fumando davanti
alla mia porta, di fronte alla porta finestra, vicino agli stendini,
e non dentro casa loro? Ho detto Salve e loro mi hanno risposto ciao
e si sono seduti. Ah già, perchè si erano portati anche due sedie
da casa per stare più comodi. Giorni dopo ho scoperto che non se le
erano portate da casa nel senso che poi finito di fumare e bere le
sedie sarebbero tornata dentro casa insieme a loro. No. Le sedie
sarebbero rimaste lì. Dico lì e preciso che lì è sempre quella
zona che si trova davanti alla mia porta di casa di fronte alla porta
finestra vicino agli stendini.
Sono
entrata in casa finalmente. Una casa completamente vuota. Una casa
luminosa e bella. Una casa che eliminata la parete tinteggiata di
viola scuro simile alla coccarda che si mette fuori dalla porta per
segnalare il morto, direi magica. Ci sono due finestre che prendono
davvero tutta la luce del sole, e la prendono perchè le persiane
sono tenute insieme dal filo divino e lo chiamo divino perchè è
inesistente, e filo, perchè c'è davvero un filo che le lega al
muro, bisogna solo augurarsi che non arrivi della pioggia forte o del
vento, per sperare che rimangano lì, al muro. Al momento non mi sono
davvero domandata cosa avrei fatto l'estate, era fine settembre, il
caldo era già passato, quindi felice e sprovveduta, mi sono tenuta
le mie belle finestre libere da ogni costrizione.
Ogni
giorno è un nuovo giorno dove è necessario sapere ascoltare ed
essere sempre pronti ad imparare qualche cosa. La pazienza è la cosa
che in assoluto ho imparato in questi due anni all'interno del mio
condominio. Lo specchio della vita. La pazienza e l'attesa. Se ti si
rompe un tubo di un lavandino, non sognare che potrai sistemarlo il
giorno dopo. E nemmeno il giorno dopo ancora. Ma dovrai aspettare
almeno dieci idraulici che seguendo il loro ritmo interiore
decideranno quando venire a risolvere il problema. O ancora, quando
ti rendi conto che le persiane sono fondamentali anche e sopratutto
in estate, immaginare che basterà una telefonata. E nemmeno due. E
nemmeno tre. E nemmeno messaggi minatori. Devi solo confidare che
nessuno possa rubarti le due persiane che sono state tolte mesi prima
dalla finestra e lasciate lì fuori dal condominio. Che poi ci
vorrebbe anche coraggio a rubarle. E ancora. Se hai difficoltà con
l'impianto di riscaldamento fai prima ad aspettare l'invernata
dell'anno dopo. Ecco tutto questo me lo ha insegnato il mio
condominio. E non solo. Il mio condominio,lo specchio della vita mi
ha portato a riflettere su ben altre e importanti cose. Che come
risultato hanno una sola parola. La pazienza.
Non
posso ricostruire in ordine cronologico tutto quello che è accaduto
all'interno del mio condominio. Non posso. Ricordo però il giorno
della prima morte avvenuta qua dentro. La vecchia Signora del secondo
piano. La sarta. Ma tutti noi lo abbiamo saputo, non certo per la
coccarda viola posta fuori dal portone. Primo, perchè noi non
abbiamo un portone. Secondo perchè dopo che il proprietario di tutto
il mio condominio ha deciso di cambiare le chiavi per entrarci
dentro, nessuno degli inquilini aveva le chiavi nuove. E per i primi
giorni qualcuno è rimasto fuori tutta la notte. Nonostante
l'insistenza del citofono. Ma credo che nessuno quelle notti rispose
per paura di trovarsi i testimoni di Geova. Così tutti gli uomini
del mio condominio decisero di tirare via la porta. Come soluzione di
protesta ma anche di comodità. La morte della Signora Maria
l'abbiamo vista in diretta. Perchè una mattina abbiamo sentito tanta
confusione e così ci siamo affacciati alle finestre. Ancora potevo
farlo, affacciarmi dico. Non avevo ancora messo le zanzariere fisse
con chiodi e colla. Mi sono incuriosita dal trambusto e ho guardato
fuori. C'era un'autoambulanza. E poi ho visto un corpo su una
barella. E poi tutto sparire nella luce della nebbia. Da quel giorno
nessuno ha più visto la Signora Maria. Nessuno l'ha più vista
tornare. Io per scrupolo sono anche andata a suonare alla sua porta.
Lei faceva la sarta. Così mi sono portata dietro un cappotto. Ho
suonato più e più volte. Ma non mi ha aperto nessuno. Ma in quel
momento ha spalancato la porta la Signora Mater Rumena che mi ha
detto “E' meglio che tu non perda tempo con lei, lei cattiva donna,
vuole sempre che io tiri via giochi di figli da corridoio”. La
Signora Mater Rumena era nuova del palazzo. Ma mi aveva spaventato.
Forse lei sapeva qualcosa della scomparsa misteriosa della Signora
Maria? E perchè insisteva così tanto che io non suonassi più il
suo campanello?
CAPITOLO
DUE
Non
ci confondiamo. Il mio condominio non è fatto di gente che si sta
simpatica e si aiuta a vicenda. Non è come un condominio gentile.
Come quello di mia sorella; il tipo di condominio dove tutti si
conoscono, si piacciono e anche se non si piacciono si fanno i regali
a natale e Pasqua. Si incontrano e si aiutano tra di loro. Si
invitano a cena e fanno chiacchierate quando si incrociano sul
pianerottolo. Le scale sono sempre pulite e l'immondizia viene
lasciata in una stanzina chiusa, mai visibile, e viene scaricata ogni
giorno. Nel condominio di mia sorella ci sono anche gli animali
simpatici. Il gatto che gira per tutti gli appartamenti ed entra ed
esce da tutte le case perché tutti lo amano. Si chiama Egon
Pisellonio I.. Quando a vado da lui a sfamarlo, perchè è il gatto
di mia sorella, tutti mi chiedono subito come sta, il gatto, cosa fa,
cosa dice, ma mai cosa sente, perchè è sordo. Alle volte vado da
Egon il gatto, solo per vedere il suo condominio, per sentire il
profumo che viaggia per le scale, la cera che viene passata ogni
mattina, la posta messa a posto in casette della posta intatte lucide
bellissime. Nel mio condominio la mia cassetta della posta è rotta.
Non si chiude e non si apre perchè mi hanno distrutto la piccola
anta con il mio nome. Così ci ho messo un pezzo di skotch di carta
con su scritto chi sono. Anche di fuori c'è sempre un pezzo di
skotch di carta con scritto chi sono. Solo che se piove, non si legge
più niente, se c'è vento si stacca, e se fa troppo caldo trasuda e
cade. Oggi dopo un mese hanno rimesso la porta di ingresso. Siamo
ancora rimasti chiusi fuori. Per fortuna nel mio condominio c'è
anche un ristorante. Si riconosce dalla puzza che vola per le scale
mattina giorno e notte, dal cuoco violento e dal proprietario che
sembra uscito da un film di Al Capone. Per questo loro erano gli
unici ad avere le chiavi del portone. Armata di coraggio sono entrata
nel ristorante. Dalla porta centrale. Perchè la porta secondaria che
coincide con la cucina si apre sulle scale del condominio. E la porta
della cucina si incastra con quella dell'ingresso. Infatti quando la
porta dell'ingresso non c'era era quasi meglio. Io non avevo paura
che entrasse qualche persona sospetta perche secondo me le persone
sospette erano tutte lì dentro. Comunque sono entrata dentro il
Ristorante e ho parlato con il proprietario. Un occhio di sfiducia e
poi me le ha lasciate. Mi ha fatto giurare su mia madre e ha preso il
mio fidanzato in ostaggio in attesa che gliele riportassi. Ora ero
l'unica del palazzo ad avere le chiavi in mano. Mi ha subito fermato
l'ennesimo nuovo vicino di casa, entrata da una settimana proprio al
mio piano. Si stava per mettere a piangere. Ti prego, mi ha
supplicato, fammi fare una copia anche a me. Io gliele ho lasciate,
ne avevo un'altra di riserva. Non potevo dire di no. Sua moglie,
appena trasferita anche lei, di nome fa Maddalena Sacra Miracolata.
E infatti è depressa. Il secondo giorno l'ho incontrata fuori dalla
sua porta. Mi ha guardato e detto: “Come fai a vivere qui? Come
fai?” Poi si è messa a piangere e a chiuso la porta. Mentre me lo
diceva si guardava attorno. Attorno però non c'era più tutto il
trambusto che avevo trovato io. Quindi si poteva già ritenere
fortunata. Comunque gli ho lasciato le chiavi. Poi una volta che me
le ha restituite ho fatto le copie e le ho lasciate nella cassetta
delle poste di tutti. Avevo paura che poi qualcuno potesse spaccare
la porta un'altra volta.
Appena
sono arrivata qui, il mio fidanzato ancora non c'era. Lui si stava
preparando per andare a vivere a Londra. Ed io ero felice perchè poi
ci sarei andata anche io. Ma poi Londra era diventata Zurigo perchè
lì c'era un amico che squotteva lussuosi appartamenti di svizzeri
annoiati. E io ero un po' incerta ad andare a vivere lì. Ma ero
contenta lo stesso. Poi l'amico del mio fidanzato lo ha chiamato da
Zurigo e gli ha detto che avevano abbattuto proprio lo squot dove
doveva andare lui. E allora il mio fidanzato, che viveva ancora al
sud, lì dove prima vivevo io, mi ha chiamato e mi ha detto, allora
vengo a Sesto San Giovanni anche io. Ricordo un attimo di sospensione
e gelido silenzio. Ma poi ho detto ok e lui ha detto ok. Ho pensato
però che a saperlo prima avrei scelto un letto più comodo e
resistente. Un divano a tre posti. Forse avrei scelto un appartamento
con una stanza in più. Un palazzo magari. Ma ormai ero qui. E lui
presto sarebbe arrivato. Evviva.
Il
mio fidanzato fa le sculture per le rotonde delle città. Lui
realizza quelle sculture lì. Però per creare le sculture per le
rotonde delle città serve trovare il materiale e il posto per
lavorare su quel materiale e farlo diventare una scultura. E il posto
per fare diventare quel materiale una scultura era diventata prima
casa, poi il corridoio. E anche alla domanda “ma non servirà un
magazzino per tenere il materiale che diventerà una scultura per le
rotonde della città?” La risposta è si. Ma non sarà mai casa. E
alla domanda, “perchè non sarà mai casa?” La risposta è,
perchè una volta dopo che il mio fidanzato aveva costruito una
incredibile scultura delicata e fragile, e l'aveva lasciata giacere
proprio davanti al bagno, io per distrazione avevo fatto scivolare
uno stendino proprio sulla sua scultura. Si era creato un momento di
panico e terrore. Il panico e il terrore lo sentivo solo io. Lui
emanava tutto questo. Tutto questo stava raggiungendo me. Per questo
motivo avevo deciso che casa non avrebbe mai più potuto essere il
contenitore di sculture per le rotonde delle città. Quel luogo
sarebbe stato il corridoio.
CAPITOLO
TRE
Qualche
giorno dopo il mio arrivo, la mia prima vicina di casa, la signora
albanesa, come l'avrebbe chiamata la mia seconda vicina di casa, mi
suonò alla porta. Era una domenica. Ed erano le dodici. Aperta la
porta con un bicchiere di vodka in mano disse: “Ciao tu sei vicina
di casa nuova ben arrivata. Io volere invitare te a pranzo fuori ti
va?”. Ora il pranzo fuori voleva dire sul corridoio. Infatti
avevano trascinato la loro griglia da dentro casa loro, a fuori casa
loro, sul corridoio. Avevano acceso il fuoco, con dei pezzi di legno,
preso la carne, e aperto la porta finestra per cercare di fare uscire
fuori il fumo che stava inondando tutto il palazzo. Infatti ad un
certo punto l'altro vicino di casa, un serio uomo proveniente dalla
Romania, che viveva in quella porta che si trovava proprio davanti
alla mia, uscì con un estintore in mano. Il mio vicino di casa, il
serio uomo proveniente dalla Romania, non parlava mai. E nemmeno
quella volta. Uscì solo un attimo con l'estintore. Si guardò
attorno. Notò la griglia gigante, la carne e il marito della mia
vicina con una vodka in mano che fece il cenno di dire salute. Il
serio uomo proveniente dalla Romania si concedette un lieve movimento
con la testa, che secondo me in Romania e pure in Italia volevano
dire “Per Dio” e si richiuse in casa. La mia vicina sorrise e mi
versò un bel bicchiere di vodka. Era solo mezzogiorno. Io avevo
voglia di cappuccino e briosche. Ma oramai avevo una vodka in mano. E
iniziai a bere.
La
mattina seguente sentì degli strani rumori. Provenivano proprio dal
corridoio. Mi alzai dal letto, aprì la porta per vedere cosa stava
accadendo. Trovai la mia vicina di casa che stava spostando tutti i
mobili dal fondo del corridoio all'estremità, lì dove c'era la
porta finestra, lì dove c'era la porta mia, lì dove c'erano i due
stendini a terra e quello grande sospeso. “Ora tutto sembra meglio
no?”
Meglio?
Meglio? Ma come meglio … i mobili mi parevano triplicati, e ora,
invece che essere posizionati lungo tutto il corridoio, si trovavano
solo davanti alla mia porta, lì dove ci sono i due stendini, lì
dove c'è la porta finestra! Lei continuava a spingere e ad ammassare
i mobili e senza nemmeno guardarmi in faccia “tu crederai tutti
mobili miei ma non è così. Sono mobili del Signore di sotto che
dice se glieli custodisco”. Ma che significa? A me pare solo che il
Signore di sotto invece che andarsi a buttare i mobili da solo, è
venuto a portarli al piano di sopra. Che sai che fatica. E chiede
alla mia vicina Albanesa di controllarli? Ma questo è anche il mio
corridoio e io non ci sto mettendo nemmeno uno stendino, diamine! Ma
ormai la mia vicina Albanesa aveva finito. Si era ritagliata lo
spazio per le sue due piccole sedie. Così prese il suo tabacco e la
solita vodka. Ma io ero troppo arrabbiata per stare a guardare.
Rientrai in casa. E pensai ad una vendetta.
PRESENTAZIONE
DELLA SIGNORA ALBANESA
Bè
si mi chiamo Anna. Anna che si legge uguale da una parte e
dall'altra. Anna se leggi da sinistra e da destra. Molto facile nome.
Tutti si ricorda di me. Perchè sono anche bella donna. Ora un po'
ingrassata io. Ma appena arrivata qui io così bella e felice e piena
di lavoro, piana. In un locale e mi mettevo quella camicia bianca,
bella stretta, che mi faceva le tette più belle. Tette sono belle
anche adesso. Lo so. Ma prima appena arrivata in Italia, prima tutto
meglio, mi divertivo mi piaceva italiano brava gente simpatici e
tutto quanto. Lavoravo tanto, io facevo soldi, non dormivo mai,
andavo a ballare poi alla discoteca con i miei amici quando finivo e
anche mio marito veniva anche se meno che lui lavorava la mattina
presto io la sera allora ci vedevamo poco. Ma forse meglio. Tutti mi
conoscevano e mai la mia faccia sembrava stanca. Io bella magra e
felice e ricca. Così abbiamo fatto la figlia. Natasa si chiama.
Bella tanto bella. Cresciuta in fretta. Non ne volevo sapere di
tornare a casa mia in Albania io amavo Italia e volevo mi figlia qui
con scuole qui io non volevo tornare casa. Ma ora non so più.
Vedrete se Italia non crolla vedrete. E io prima che crolla torna a
casa. Stupidi italiani voi. Stupidi.
CAPITOLO
QUATTRO
Dopo
qualche mese arrivò il mio fidanzato. Io avevo deciso di aspettare
lui per procedere a buttare via tutta quella roba. Di notte. Quando
il sonno prende la coscienza degli uomini. Avevamo iniziato bene. Con
l'armadio. Preso e buttato. Due sedie rotte. Prese e buttate. Era
arrivata anche una grande e vecchia televisione. Presa e buttata. Il
tavolino all'altro lato del corridoio. Preso e buttato. Sempre bene,
quando all'improvviso il mio fidanzato si fermò come abitato da una
illuminazione sconvolgente. Qui c'è tanto materiale, sussurrò …
ma io ascoltavo, capivo, qui c'è tanto materiale che potrei usare
per le mie sculture. Io da una parte ero felice dall'altra
terrorizzata. Tutto ciò non avrebbe mai avuto fine. Io, che ho
sempre buttato via tutto, io, che ho regalato tutti i miei libri ai
bambini violenti di via della Pace a Macerata, io che non ho mai
voluto conservare nemmeno i numeri di telefono, io, che me ne facevo
ora di due cassettiere, uno specchio e forse chissà quale altro
mobile ancora. Ma, ognuno ha il suo mestiere il suo destino il suo
compito il suo insegnamento. Il mio compito al momento era di non
rompere troppo le palle, stare zitta e contribuire alle sculture
delle rotonde delle città.
Il
giorno dopo quindi la cassettiera diventò una scultura. La scultura
era così pesante che non si riusciva nemmeno ad alzare, figurarsi a
trasportarla in una rotonda di una città qualsiasi. La cassettiera
diventata scultura occupava molto spazio. Decidemmo di attaccarla al
muro, così nell'attesa di decidere come sarebbe stata trasportata.
Mi venne in mente che fuori sul corridoio c'era una scala, che
apparteneva alla Signora Albanesa. La presi. La scala era mezza viva
mezza morta. Il mio fidanzato decise di salirci lo stesso con l'opera
in mano. Arrivato in cima, traballò per un po'. E poi cadde. Su di
me. Insieme alla scultura. Insieme al mio fidanzato. Insieme alla
scala. Quello fu il mio primo incidente milanese. Il mio primo trauma
cranico. Il mio primo incontro al Pronto Soccorso di Sesto San
Giovanni. Ma quello, sarebbe stato solo l'inizio.
Passarono
i primi mesi. Il corridoio ora si stava svuotando di mobili, ma
riempiendo di sculture per le rotonde delle città. Sempre presente
la scarpiera, la griglia, le due sedie, gli stendini a terra e quello
sospeso. Avevo iniziato a parlare con la mia vicina nuova, Anna.
Iniziato ad ascoltarla. Mi raccontò che era molto infelice. Che in
Italia non la voleva nessuno, che il lavoro non c'era, che il
proprietario di casa era un animale e che per questo lei non pagava
più il suo affitto da mesi. L'Italia fa schifo, mi diceva. E in
realtà lo pensavo anche io. Ma il suo odio non faceva che aumentare
il mio. Così un giorno pensai di cambiare stratagemma. Non dovevo
nemmeno bussare alla porta perchè lei passava tutto il giorno
davanti alla mia di porta, vicino ai due stendini a terra quello
sospeso e la porta finestra. Le dissi che in Italia c'erano tante
cose buone: “Tieni, ti presto (e sottolineo presto) il cd completo
dell'opera di Verdi, così te la ascolti e magari ti senti meglio”.
Rispose “Ok”. Forse non era sufficiente. Dovevo andare più a
fondo. Mi venne l'idea. Il giorno dopo mi avvicinai e dissi :”Tieni,
ti presto (presto) questo libro su come avverare tutti i tuoi sogni.
E' un libro prezioso per me, dopo che lo hai finito di leggere me lo
ridai” e lei “Ok. Ma prima devo vedere se mi piace. Ora apro
pagina 43. Se a pagina 43 leggo solo stronzate, non lo voglio. Ma se
mi piace, ok”. Ok, mi dice ok, ma solo se le piace. Va bè.
Aspetto. La pagina 43 diceva che le poteva piacere. Chiuse il libro.
E disse ancora “ok”. Un altro giorno ancora le regalai un paio di
orecchini. Lei rispose “Ok, ok ok”. Forse in Albania “Ok”
significa grazie. Forse non era necessario che me lo dicesse. Forse.
Solo che dopo qualche giorno sparì. Sparì lei il marito e la
figlia. Sparì il mio cd, il mio libro e lasciarono lì la scala
rotta.
Non
amo parlare molto del mio lavoro. Sono una donna di circa 40 anni. E
sono tornata nella mia città dopo un lungo viaggiare. La prima cosa
che noti quando torni a casa è che ti senti un po' un estraneo. Se
poi torni e non hai ancora un lavoro, si aggiunge alla definizione
del tuo stato d'esistenza, quello di emarginato dal mondo del
“capitale che produce” e l'unica cosa che riesci a far fruttare
tu, è solo frustrazione e insofferenza. Puoi anche voltarti indietro
e ricordarti i motivi per i quali hai deciso di andare via di nuovo,
un'altra volta. E se te li ricordi il presente riesci a sopportarlo
meglio.
Quando
ritorni a casa tutti sono lì e si aspettano che tu faccia qualcosa.
Sopratutto tu, da te stesso, ti aspetti di farlo questo qualcosa.
Mi
allargo gli orizzonti per curiosare negli spazi della vita che ancora
non ho sperimentato e vissuto. In ogni anglo ci sarà qualcosa per
me, una sorpresa., un regalo un dono che posso scoprire con eleganza.
Ma l'eleganza quando la percezione diventa confusa si perde in altri
occhi. La vita in mezzo agli è complicata. La vita tra te e te è
complicata. C'è un metro di giudizio sopra a tutti che è il tuo,
forse il più spietato di tutti.
Ma
Dio mio in tutta questa confusione, posso ancora ritrovare il mio
centro? E dove sta?
Se
uno si perde facilmente, la strada poi la riesce a trovare più
spesso.
A
passi di danza.
CAPITOLO
CINQUE
La
Signora Albanese non c'era più. Un po' mi dispiaceva un po' no. Ma
ero elettrizzata. Questa mattina potrò aprire la porta di casa mia e
vedere solo la porta finestra senza stendini senza sedie senza niente
di niente. Ero felice. Mi sono fatta la doccia. Profumata e vestita.
Ho aperto la porta, finalmente, ora guardo fuori e, oddio, oddio no,
no. Non è possibile. Ma cosa ci fanno ancora gli stendini? E invece
che due a terra ora sono tre? E quello sospeso ora è enorme! Ma che
succede? Sono corsa alla porta della mia ex vicina. Ho suonato e
risuonato. Silenzio. Sì, sono certa lei è partita e se ne è andata
via. Ma allora qualcosa non torna. Se lei non c'è più, di chi sono
tutti quegli stendini messi lì fuori proprio davanti alla mia porta?
Non faccio in tempo a trovare una risposta che vedo comparire dal
fondo del corridoio un uomo che fuma una sigaretta, in mutande. Mi fa
un cenno con la testa. Voleva dire 'giorno. Si avvicina a me mi passa
davanti, l'uomo in mutande. E inizia a toccare i vestiti appesi.
Butta la sigaretta fuori dalla porta finestra e se ne va. Tre secondi
dopo arriva un reggimento di donne. Due bambine piccole, una media,
una giovane e una meno giovane. La Mater Rumena. Tutte davanti a me,
a svuotare tutti i loro stendini. Ma questo è un incubo.... La Mater
Rumena e le sue sorelle ritornano al loro piano, quello di sotto e
nemmeno mi danno un cenno di saluto. Io non mi voglio nemmeno
calmare. Vado giù di sotto e suono una porta qualsiasi. L'ho fatto.
E dietro la porta c'era una donna. Mi guarda. La guardo. Le dico
“Sono suoi tutti quegli stendini là sopra?” E lei “Si … si
perchè?” E io “Ma perchè non stendete qui sotto o anche dentro
casa vostra? Io mica stendo fuori” E non vengo nemmeno qui sotto
con il mio stendino” E lei un po' confusa inizia a dire quelle tre
parole e poi inizia a piangere “Io io noi, come fare noi? Noi
appena arrivati da Romania, noi tanti, tanti calzini, tanti
pantaloni, casa piccola, noi noi ….” e dopo non si capisce più
niente tanto pare contratta dal dolore. Io mi sento in colpa. Mi
sento male. Le dico che non si deve preoccupare che va bene così che
è tutto a posto. Magari imparo a fare una torta e gliela regalo
domani. Torno a casa. Il mio fidanzato mi ascolta e si mette a
ridere. Io sono affranta. Ma poco dopo qualcuno bussa alla porta. Chi
sarà … penso. Il mio fidanzato apre la porta e mi dice che è per
me. Mi avvicino e vedo davanti a me una gran signora massiccia con lo
sguardo scuro a braccia conserte. La Mater Rumena. Silenzio.
Silenzio. Fino a che dice “Tu hai qualche problema con stendino?”
E io anche un po' preoccupata e col pensiero interiore col cavolo che
imparo a fare una torta per te, rispondo “No … no … tutto
ok...”. Lei inizia a muovere le mani e dice “Tu puoi stendere
anche tu qui fuori no? Noi tanti siamo tanti sai, noi presi
appartamenti qui sotto tutti nostri e sotto non spazio per stendere”
Io rimango in silenzio ma lei continua “Qui tutti cattivi con noi,
io non capire, io solo stendere e basta. Noi preso tutti appartamenti
a parte uno che c'è una signora vecchia cattiva che parla sempre
male di noi” E io zitta “Solo perchè lasciamo bici figlie
davanti mia porta che è mia porta mica sua” Io sempre zitta
pensando che magari faccio una torta avvelenata, lei ancora non
stanca dice “Noi volere stare bene noi non dare fastidio se tu
qualche problema dire adesso o mai più”. Oddio. Non potevo fare
altro che dire “Ok”. Lei ha risposto “Ok” e se ne è andata
di sotto. Sono tornata dentro casa e il mio fidanzato continuava a
ridere. Io volevo solo andare di sotto con tutti quegli stendini e
stracciare torciere tagliare tutti i panni loro e lasciarli davanti
alla loro porta come segno di sfida. Ma non l'ho fatto. Lì al piano
di sotto c'era una anziana signora che magari poi si sarebbe
spaventata. E sopratutto loro avevano mariti alti e massicci. Meglio
è starsene a casa tranquilli. Meno male che sono fidanzata.
CAPITOLO
SEI
La
Signora Maria, la sartina che vive al primo piano, è davvero una
sartina. Fa la sarta da quando ha dieci anni, e non è mai ingrassata
un etto da quando ha dieci anni. Me lo ha detto lei. Si è sposato
una volta sola, e il suo compagno è morto dopo pochi anni. Mi ha
raccontato che il suo marito defunto, proprio una settimana prima
delle nozze, era stato ferito ad una gamba, da una bomba! Una bomba!
Lei aveva paura per la sua vita, lui aveva paura per il suo pisello.
Aveva paura che non potesse più rendersi vivace e riproduttivo. Ma
la convalescenza durò veramente poco. E infatti dopo poche settimane
si sposarono, dopo pochi mesi arrivò un bel bambino e dopo pochi
anni la morte. Ma la Signora Maria non aveva paura di rimanere sola e
con un figlio. E non appena il figlio trovò la sua strada, quella di
direttore generale della Coca Cola, lei si sentì sollevata. Mi
confesso anche che non aveva nessuna intenzione di rimettere su
famiglia con un altro uomo. Per carità, mi aveva detto. Già ne è
bastato uno. E voglio mangiare solo la pasta al pomodoro, solo quella
lunga, e mi piacciono solo le cotolette, ma ancora di più il giorno
dopo, quindi falle oggi per mangiarle domani, e non voglio che tu
lavori, la donna non deve avere l'ultima parola, etc.... Nonostante
il suo amore per il marito, infatti aveva una sua foto in bianco e
nero dentro una grande cornice, la Signora Maria era molto felice
ora. La sua vita, il suo cibo la sua libertà.
Io
ci andavo di rado. Perchè la Signora Maria era anche molto cara,
come tutte le sarte. Ma ci andavo perchè mi pareva l'unica donna
sensata in tutto il mio condominio.
CAPITOLO
SETTE
Una
mattina sono rimasta incastrata tra la porta del mio condominio e
quella della cucina. Non riuscivo a liberarmi. Pensavo di mettermi a
gridare ma poi ho deciso che avrei fatto una telefonata al mio
fidanzato che ero certa si trovasse a casa perchè stava lavorando ad
un'altra scultura per un'altra rotonda. Lui è sceso di corsa e mi ha
liberata. Per vendetta ho sbattuto con violenza la porta, quella
della cucina, pensando di carcerare a vita il cuoco dentro la sua
cucina. Forse sarebbero morti solo gli scarafaggi e non lui. Infatti
lui, il cuoco, dopo pochi secondi aprì violentemente la porta e
lanciò una bestemmia. Io non ci ho pensato nemmeno un attimo. Mi
sono messa a correre e sono arrivata senza fiato a casa. La sera
stessa di ritorno dalla mia ripetizione di inglese, saranno state le
otto, apro la porta del mio condominio e mi accorgo che è rotta, e
anche che l'interruttore della luce generale non funzionava più.
Prendo l'accendino, meno male che ancora non ho smesso di fumare, e
faccio tutte le scale, illuminando sopratutto a terra, per paura di
essere attaccata da qualche scarafaggio nero, perchè quelli marroni
preferiscono il corridoio. Non faccio in tempo ad aprire la porta di
casa che sento alle spalle la presenza di qualcuno. La Mater Rumena.
Con una torcia in mano e un cesto pieno di vestiti bagnati. Mi dice
se mi fossi accorta del portone e della luce, e io rispondo di sì, e
lei con gran fermento “Tu conosci cuoco di sotto, cattivo uomo,
io lo so cattivo, io non so perchè qui tutti contro di noi, bè lui
ha litigato con mio figlio, mio figlio bravo non uccide nemmeno
mosca, lui cuoco invece sì, e così cuoco preso da ira ha tirato un
pugno a mio figlio, ma lui si è spostato e sbattuto contro portone,
mentre pugno di cuoco andato diritto su luce.” Io rimango un attimo
interdetta. Sopratutto non riuscivo a capire il possibile motivo del
litigio tra il figlio della Mater Rumena e il cuoco violento. Ho
provato e ho chiesto una spiegazione, che è stata “Qui tutti
matti, tutti matti, dove vivevo prima tutti ci volevamo bene”. Io
la ascolto. Aspetto che finisca di stendere per rispetto e poi me ne
torno a casa. Chissà perchè tutti quelli che ho conosciuto e sono
venuti a vivere qui, dicono la stessa cosa. Anche la Signora Albanesa
(come l'aveva soprannominata la Mater Rumena. Erano diventate amiche
prima che la Signora Albanesa traslocasse. E la Mater Rumena mi aveva
detto che era stata la Signora Albanesa a dirle che poteva stendere
qui al mio pianerottolo, le aveva altresì regalato due stendini a
terra. Quello sospeso era stato sostituito con un altro perchè la
Mater Rumena aveva paura di poca igiene, al chè, ho pensato, poteva
anche cambiare gli atri due, ma non ho detto niente.) diceva la
stessa cosa. Io non l'ho mai detto né pensato né vissuto. La vita
dentro il condominio è stata per me sempre difficile. Come quella
volta in cui mi erano entrati i topi in casa. Avevo appena
traslocato. La casa era completamente vuota. C'era solo il letto le
mie valigie e delle strane cacce, che a giudicare dalle forme,
sembrava appartenessero alla razza del topo gigante. Ho cercato di
avvertire tutti i signori e signore che vivevano lì. E invece che
essere tutti uniti contro la cacca del nemico, la grand giurì aveva
nominato per elezione straordinaria un consigliere donna, che era
venuta a bussarmi violentemente alla porta, dicendomi che i topi li
avevo portati io, magari dentro le valigie, se mai ci fossero stati
veramente,. Meno male che poi i topi, abili scalatori, sono riusciti
a raggiungere la casa della signora consigliera, e cosparsa di cacca
anche la sua casa, decise di chiamare con urgenza la disinfestazione.
Ricordo anche un altro esempio di felicità condominiale. Quando in
un'altra casa ancora, la Signora del piano di sotto, che passava il
tempo a urlare dietro su figlia Mariaaaa, aveva un giorno suonato a
casa e nelle mani teneva una prolunga che andava dal suo primo piano
al mio secondo. Mi chiedeva se poteva attaccarsi alla mia corrente.
Almeno giusto il tempo di fare una lavatrice. Insomma. Io non ho mai
trovato persone felici e serene dentro un condominio. Felici e serene
e che mi amassero alla follia. A quanto ne so ora, posso dire quindi,
che è capitato alla Signora Albanesa, Alla Mater Rumena e a Egon
Pisellonio I, il gatto di mia sorella.
CAPITOLO
OTTO
Dentro
il mio condominio vive anche uno strano uomo di nome Chen. Non so se
si chiama così davvero. Chen lo chiamo io e il mio fidanzato, mia
sorella e il fidanzato di mia sorella, mia madre, la mia amica Enza e
il suo fidanzato. Ma solo io e il mio fidanzato abbiamo visto Chen
davvero.
Una
mattina io e il mio fidanzato dovevamo costruire una cassa di
imballaggio per la sua scultura per la rotonde della città. Ma non
la scutura che era appesa al muro. Perchè quella non riuscivamo più
a spostarla. Un'altra ancora. Molto lunga. Molto estesa. Molto alta.
Molto delicata. Ma per lo meno, molto leggera. La cassa da
imballaggio sarebbe stata molto lunga, molto alta, molto estesa e
molto, ma molto pesante. Era luglio. Faceva caldo. Noi eravamo nel
cortile condominiale. In relatà il cortile condominiale non era
proprio di uso comune. Perchè era tutto di prorprietà del padrone
del ristorante. Ed era opportuno chiedere un permesso speciale a
quell'uomo. Così andai a parlargli. Entrai dentro il suo ristorante,
dalla porta centrale, e dopo avere parlato con una decina di
camerieri e assistenti, finalemente comparve Lui. Mi guardò.
Silenzioso. Io inizia a dire, oh che bel ristorante, oh che buon
profumo, oh, che possiamo costruire una cassa di imballaggio dentro
il suo cortile senza disturbare troppo, che nell'arco di due tre ora
finiamo e tutto torna come prima? Lui rispose solo con un cenno di
capo. Che voleva dire, sì. E iniziammo a lavorare. Assi di legno
laterali, frontali, la base, il coperchio, chiodi su chiodi, sole e
sudore, sole e sofferenza, sole e Chen. Arrivò mentre stavamo
cercando di trapanare una vita irriverente. Lui ci guardò un momento
poi entrò in una stanzina ripostiglio e riapparve con una manciata
di viti di alta generazione e una bottiglietta di olio specifico per
scorrimento vite dentro buco. “Tu fatto capolavoro” disse Chen al
mio fidanzato. Il mio fidanzato sorrise, era felice. E anche io.
Chen, mentre cercavamo di trapanare e mettere assi su assi, ci
raccontò che veniva dalle Isole Mauritius, che non ne poteva più di
stare in una città come Sesto San Giovanni e che non vedeva l'ora di
tornarsene a casa sua. Chen lavorava come tutto fare nella palestra
in fondo al cortile. E stava creando un piccolo orto zen proprio nel
piccolo pezzo di verde che ancora viveva nel cortile del condominio.
C'erano piccoli corridoio di acqua che scorrevano lungo la terra, che
giorno dopo giorno ritornava ad essere viva. E lui mentre ci parlava
faceva piccole buche e piantava e pregava per il suo giardino. Chen
ci salutò verso le due del pomeriggio. Noi eravamo ancora lì.
Finimmo circa verso le sette di sera. Noi eravamo distrutti. La cassa
era enorme pesante un blocco che sembrava cemento quasi difficile da
spostare. Arrivò la notte. Io e il mio fidanzato stavamo tornando a
casa. Ci fermammo un attimo a contemplare la “massa specifica
monumento” quando ci accorgemmo che c'era una figura strana,
oscura. Era buio. E lì, c'era Chen. Era venuto di corsa perchè si
era accorto che stava per piovere. Così da casa si era portato un
telo di plastica. Aveva spostato il macigno da solo e l'avevo pure
coperto. Chen il magnifico. Chen il Salvatore. Chen il nostro nuovo
amico di condominio. Peccato che non viveva lì.
Dopo
tre mesi appena, il giardino zen di Chen era diventato una foresta
amazzonica. Forse speranza per il nostro condominio c'era ancora!
CAPITOLO
NOVE
“Mi
sembra di avere sentito dei passi strani. Dei rumori. No, non sono
passi, è qualcuno che urla, mio Dio, urla veramente.” Ero a letto
ma quelle urla mi fecero svegliare. Non riuscivo a capire. Intanto,
da dove arrivano queste urla? Sembrano così vicine..., dovrò
chiamare la polizia? Solo dopo qualche minuto mi resi conto che
quelle urla erano ululati di piacere. Mi aveva confuso la voce di
lei, molto acuta, quasi sofferente, ma ad alcune parole tipo “dimmi
che sono la tua zoccola” avevo capito che lei non stava soffrendo
per niente. E l'ultima conferma la ottenni quando dopo un attimo di
silenzio arrivò anche la sua voce con un breve ma intenso e cupo
“ah”. Quell'”ah”, era segnale che la coppia aveva terminato
la fatica d'amore. Infatti quando mi è ricapitato di sentirli,
specie la domenica mattina, so con esattezza quando l'atto è
concluso. Il mio fidanzato ancora si confonde. Ma io gli dico di non
farsi confondere dal finto silenzio che la fine ancora non è
arrivata. E infatti è sempre così. La fine coincide con il suo Ah.
Comunque la prima volta che sentì questo trambusto ero sola. E
quella notte mi si era spezzato un capillare proprio sotto l'occhio.
Sembrava mi avessero dato un pugno. Ma non ero tanto preoccupata per
il mio occhio, ma per quelle voci. Fino a quando non mi fu chiara
l'origine ludico sessuale dell'evento. Quando uscì da casa mia,
c'era fuori la Signora Albanesa. Mi guardo mi indicò l'occhio poi si
avvicinò mi diede una pacca solidale sulla spalla, mi fece
l'occhiolino e disse, beata te cara! Beata me? Oddio ma io non ho
fatto niente, le dissi. E se ne convinse quando dalla porta proprio
davanti alla mia usci Il Silenzioso Signore Rumeno. Usci insieme ad
una giovinetta che rideva tutta eccitata tutta elettrizzata e mai
guardando in direzione nostri occhi, ma sempre a terra. Se ne
andarono velocemente senza salutare. La Signora Albanesa disse con
complicità “Hai capito il Rumeno...”
Ecco
il Signore Rumeno venne arrestato due settimane dopo per motivi
ignoti. Mi è dispiaciuto un po'. Ero solo terrorizzata di scoprire
chi venisse a vivere davanti alla mia porta.
Maddalena
Sacra Miracolata prese il posto del Signore Rumeno. Lei insieme al
marito. Lui calabrese lei non l'ho mai saputo perchè parlava poco e
quando parlava piangeva. Ogni volta che la incontravo davanti alla
porta lungo il corridoio, mi parlava di quanto fosse bello il palazzo
nel quale viveva prima di questo. Luminoso, sempre pulito, l'aria
sapeva di sano. In realtà anche sul nostro corridoio l'aria è sa di
lindo, data la presenza del gran numero di stendini e biancheria
stesi per tutto il giorno. Appena apri la porta del condominio la
prima cosa che senti è l'odore di fritto che invade vestiti capelli
e naso. Poi superato il primo ostacolo, fai le scale, ancora per un
po' ti rimane attaccato addosso quell'odore, ma ce la fai, sei
arrivato quasi alla seconda rampa di scale, puoi superare il terzo
ostacolo, sorvolare gli scarafaggi e non calpestarli (credo sia paura
che si potrebbero riprodurre all'istante come in un film horror, per
questo ho deciso di non schiacciarli, ma di affogarli nella polvere
velenosa Baigon tre in uno, così nello stesso istante la scala si
igienizza e si evita qualsiasi riproduzione) e arrivare quindi al
terzo piano, andare oltre la porta che separa tutto il condominio dal
lungo corridoio e lasciarti cullare in quell'odore di appena uscito
dalla lavatrice.
Quindi
su questo punto non potevo trovarmi in accordo con Maddalena Sacra
Miracolata.
Le
occasioni di vederla erano rare. Lei compariva poco. Era però
diventata un po' più coraggiosa, infatti si era decisa a mettere
fuori dalla sua porta, quindi proprio in fronte la mia, il suo
stendino, la scopa e un cesto pieno di mollette. E' vero, lei non
stendeva tanto come tutto il resto della famiglia condominiale. Il
suo stendino personale era quasi sempre vuoto. Ma almeno quel paio di
pantaloni e due mutande davano conferma del suo essere lievemente
felice e in linea con le abitudini condominiali. Io in realtà
all'inizio non stendevo fuori. Non perchè ci tenessi a mostrare la
mia diversità dal resto del popolo, ma perchè il mio spazio lungo
il corridoio era occupato dal materiale delle sculture delle rotonde
della città. Solo quando il materiale diminuiva, uno stendino fuori
ce lo mettevo. Mai steso mutande però. Maddalena Sacra Miracolata le
mutande, anche se poche le stendeva. Il suo compagno era alto un
metro e cinquanta. Più basso di me. E robusto. Cercava di fare il
simpatico ma non ci riusciva per niente. Un pomeriggio quando
Maddalena Sacra Miracolata era fuori chissà dovi mi aveva chiesto di
entrare dentro casa sua a vedere in quali condizioni era costretto a
vivere. Mi aveva mostrato le pareti nere per l'umidità, le crepe ai
lati del bagno e le persiane rotte. Bè non mi pareva una tragedia.
Doveva vedere la parete di casa mia. Doveva. Comunque Maddalena e il
marito si vedevano poco in giro. Lui si sentiva sopratutto la notte.
Chissà che lavoro faceva. Chissà da dove tornava. Ma sopratutto,
chissà se era felice di tornare.
CAPITOLO
DIECI
Una
notte mentre io e il mio fidanzato stavamo per andare a dormire,
abbiamo sentito qualcuno strillare e sbattere una porta. Questa volta
non potevo confondermi. Non era rumore di sesso quello che stavamo
sentendo. Ma qualcosa di più brutale. Cosa ci può essere più
brutale del sesso? Qualcuno che con una bottiglia di birra in mano
cerca di distruggere la porta di casa sua. Utilizzando prima i calci
poi la voce in termini di bestemmie straniere. Sono sicura che erano
parole violente, contro qualcosa di più grande, di potente, qualcuno
a cui dare la colpa se esci di casa e ti dimentichi le chiavi dentro,
ed è notte. Le urla diventavano più forti. E anche i rumori.
Infatti ad un certo punto dopo un attimo di silenzio, i calci non si
sentivano più, ma si poteva riconoscere quello di una specie di
motosega elettrica. Io ero un po' preoccupata. Ad un certo punto
avrei anche voluto aprire la porta e vedere, uno: chi fosse rimasto
fuori casa, due: cosa stava usando per sfasciare la porta, tre: e se
fosse stato un ladro?, quattro: e se fosse stato il maniaco della
motosega protagonista della dodicesima puntata di CSI? No, non ho
aperto quella porta. Sono rimasta passiva ad ascoltare l'aumento di
rumore e di distruzione fuori casa mia. Forse i vicini si dovrebbero
aiutare sempre. Ma io avevo anche un certo timore di alcuni miei
vicini. E di questo qui ancora di più. E poi se non fosse riuscito
ad aprire la porta dove lo avrei messo a dormire? Insieme a me e al
mio fidanzato? Non sono riuscita a fare niente. Dopo un po', nemmeno
a tenere gli occhi aperti. E mi sono addormentata. La mattina dopo
facendo due passi qua e là per il condominio mi sono accorta di una
porta distrutta. C'era legno dappertutto. E un buco gigante sulla ex
porta. L'uomo, l'abitante di quella casa, non mi è mai piaciuto. La
sua abitazione è collocata prima della grande porta che dà sul
corridoio. Anche lui come il Signore Rumeno sta sempre zitto. E ogni
volta che mi capita di incrociarlo per le scale non si ferma mai per
farmi passare, non mi saluta neppure e se può mi spinge anche. E'
alto, molto alto. Scuro di capelli. Degli occhi so poco. Non sono
riuscita mai a vederli. La sua porta era uguale a tutte le altre
porte del condominio. Vecchia vacillante di legno. Nonostante questo
ha dovuto usare una motosega elettrice per abbatterla. A volte dici,
le cose di una volta. Dopo poche ore la sua vecchia porta era
scomparsa. Ne era arrivata una nuova. Di quelle composte da cinque
serrature e i manici d'oro. Ora lui ha la porta più bella di tutto
il condominio. A dirla tutta, la sua porta è più bella del
condominio stesso.
CAPITOLO
UNDICI
Certi
giorni mi manca la mia amica Albanesa. Almeno lei non piangeva ogni
volta che apriva la porta di casa. Certo fumava tabacco
insostenibile, aveva preso il dominio di tutto il corridoio, parlava
male di tutti, ma mi aveva dato dei gran consigli su come tenere vivo
l'amore. Lei aveva conosciuto il suo “uomo” in Albania. E si
erano piaciuti subito. Solo che all'inizio lui, così mi raccontava
lei, beveva senza ritegno. Ma senza mai diventare violento. Intanto
beveva solo vodka. E la vodka non rende mai violenti, mi diceva lei.
Piuttosto un po' dementi. “Lui beveva e poi non riusciva stare in
piedi capisci? E continuava a dirmi amore mio come sei bella io ti
sposo anche se eravamo già sposati capisci? Un po' scemo capisci?”.
Mi confessò che l'uomo scemo non lo poteva reggere. Così aveva
iniziato una terapia d'urto. Ogni volta che lui aveva un appuntamento
con gli amici al bar, lei si comprava un reggiseno nuovo o un paio di
slip super aderenti di pizzo. Si metteva davanti alla porta e gli
sussurrava nell'orecchio frasi calde che gli facevano dimenticare di
avere un appuntamento al bar. Certo, che lavorone. Sopratutto che
costanza nel mantenere sempre vivo il desiderio. Tutti i giorni,
estate e inverno, mettersi davanti alla porta in mutande e reggiseno
e inventarsi frasi piccanti, invertire la marcia di direzione del tuo
compagno, richiede una costanza e una determinazione particolare.
Anche una costanza di aver sempre voglia di fare l'amore. Anche
quando hai le mestruazioni. Anche se ti viene una colica. Anche
quando vorresti solo mettere davanti alla tv a vedere un film con
Brad Pitt. “Da noi la donna è proprio donna sai?”. Altro che.
Ora però davanti alla porta finestra non c'era solo lui che beveva
la vodka, ma anche lei. Quindi qualcosa non tornava. Ma la cosa che
non tornava era la mancanza di lavoro, non di amore. E loro cercavano
di sopravvivere come potevano. E secondo me facevano bene. Un po'
meno bene quando hanno preso un cane a casa loro. Un cucciolo di
lupo. “E' il cane di mio fratello sai, lui dice che moglie non lo
vuole, o lei o il cane ha detto, così per un po' lo teniamo noi, ma
poi se ne va”. In quelle settimane in cui il cucciolo di cane lupo
sostava lungo il corridoio, si sentiva, più che odore di detersivo e
tabacco, un'essenza odorosa che era pipì di cane lupo su corridoio,
pipì di cane lupo su stendino, pipì di cane lupo davanti alla porta
di casa, e se il cucciolo riesce ad entrare dentro casa, pipì di
cane lupo su tappeto ikea da buttare e chi se lo compra più. Dopo
poche settimane anche il cucciolo sparì. Forse la moglie di suo
fratello si era trasferita da un'altra parte.
CAPITOLO
DODICI
Sono
le ore dieci del mattino. Suona la porta di casa. E' la Signora Mater
Rumena. Mi dice se mi dispiace se anche l'altra sua figlia porta su
al mio piano il suo stendino. Io non faccio in tempo a dire niente
che vedo già la figlia, quella che vive nella porta davanti all'uomo
con la porta nuova, quindi di fianco alla porta che conduce al
corridoio, vedo la figlia dicevo, con il suo stendino in mano. Lo
apre e lo piazza a terra. Anche il suo è uno stendino da terra.
Quello sospeso è privilegio solo della Mater Rumena ora, e della
Singora Albanesa prima. Mi dice la Mater Rumena che avrebbe messo
anche il suo stendino davanti alla porta di casa mia, lì dove c'è
lo stendino di Maddalena. Io le dico che se anche lo stendino di
Maddalena è quasi sempre vuoto, è pure sempre uno stendino
funzionale. E che non mi sembrerebbe giusto farlo sparire così. Lei
poco convinta mi dice ok. Ma poi continua. Mi dice nell'orecchio “Ma
tu credi che loro vivono ancora qui? Perchè mi pare che non li sento
più?” E io penso, ma come fa a saperlo lei, che vive due piani
sotto a me? Allora le dico “Ma perchè lo vuoi sapere?”. E lei mi
dice che suo figlio, quello che ha litigato con il cuoco, ha bisogno
dei suoi spazi e che se l'appartamento si libera, di farglielo subito
sapere, che dentro ci mette il ragazzo. “E se entra anche lui, qui
ci possiamo mettere il suo stendino personale dispiace?”. Ora io
l'ho lasciata parlare senza aggiungere altro alla conversazione. Non
ho nemmeno cercato la figlia con lo stendino nuovo (che poi tutti gli
stendini presenti lungo il corridoio, a parte quello sospeso, sono
identici, anche il mio è così, bianco e blu, comprato dai cinesi in
via Casiraghi, avevano fatto la svendita qualche mese fa e qui da noi
la notizia è girata di bocca in bocca e di casa in casa). Sono stata
zitta. Soltanto una cosa però. Due giorni dopo lo stendino di
Maddalena era vuoto. Ed rimasto vuoto per giorni e giorni. Qualcosa
stava accadendo. Qualcosa di pericoloso.
CAPITOLO
TREDICI
Sono
tornata al pronto soccorso per la seconda volta. Tra tutte le cose
che mi potevano venire, il mio corpo ha deciso per la lettera A come
ascesso sulla lettera C come chiappa D come destra. All'inizio non
avevo dato molto peso alla cosa. Ma poi una notte il dolore era
diventato insopportabile, e quell'essere si stava ingrandendo in modo
minaccioso. Sono corsa, per quanto potessi correre a farmi vedere,
sperando in una dose massiccia di antidolorifico per vena, di quelli
che ti fanno vedere il mondo intorno a te senza più stendini. Ma
prima di arrivare a quel momento c'era tutta la fila da superare. Una
fila lunga. Ma io avevo capito che per passare davanti a tutti e
aggiudicarti il bollettino, almeno verde, che ti permette di essere
in cima alla fila, dovevi manifestare tutto il tuo dolore potenziato
del 25 per cento. Meno male che avevo studiato il metodo Strasberg
con la famosa Greta Seacat. Un seminario molto intenso. Non si faceva
altro che piangere e andare in stati di profondo choc emotivo. Io
avevo scoperto un sacco di traumi e segreti mai arrivati alla mia
coscienza, ma chiusi e serrati dentro il mio inconscio. Due settimane
di lavoro finalizzato a trovare le emozioni vere, il dolore reale,
mai rappresentato ma vissuto. Come rievocare il dolore della
Signorina Julia se tu non sei mai stata contessa, non ti hanno mai
ammazzato un canarino, non sei mai andata a letto con il tuo
servitore e sopratutto non hai mai provato a suicidarti? Ma
l'inconscio conosce quel dolore. Te lo fa emergere così che tu puoi
viverlo per davvero. Soltanto che quando sono andata a fare dei
provini utilizzando quel metodo, mi capitava di non riuscire ad
adattarlo con la giusta forza. Come immedesimarmi in una donna che
sta cercando di tirare via le macchie da un vestito nuovo? Se andassi
a fare ora un provino come quello, il mio inconscio mi mostrerebbe la
lunga fila di stendini fuori la mia porta. E la mia immedesimazione
sarebbe perfetta. Ma ormai è tardi. Ora posso solo usare il mio
dolore vero per passare davanti a tutti. Urlando e piangendo.
GUIDA
PRATICA ALLA SOPRAVVIVENZA DA PRONTO SOCCORSO
Ci
sono quattro bollini, bianco verde giallo e rosso, anche se io per
logica avrei messo prima il verde e poi il giallo, i colori sono
questi intesi come ordine di gravità della malattia, che viene
giudicata in base a se sei arrivato con un autoambulanza, se perdi
sangue dalla testa, se arrivi senza mano o se piangi e urli
disperato, ma su questo ultimo punto non è sempre detto che il tuo
cosa sia da ritenere così urgente da essere inserito in cima alla
lista, che viene elaborata dai dottore che nessuno vede che stanno al
di là della porta della reception, mentre lì alla reception di
solito trovi un giovane infermiere o infermiera che stanno cercando
di finire le parole crociate e non hanno voglia di sentire o vedere
te che strilli, e te che strilli devi sperare che quel tizio o tizia
siano davvero lì a farle le parole crociate, se no, come spesso
accade, cerchi di capire come si fa a richiamare l'attenzione di
qualcuno senza urlare, e allora ti accorgi dell'esistenza di un
campanello piccolo verde con su scritto “suonare” allora tu suoni
e compare sempre quel tizio con la penna in mano, penna che serve
solo per scrivere Abelardo, perchè il sette verticale richiedeva il
nome dell'amante di Eloisa, e se tu non ti chiami né Abelardo né
Eloisa, devi fare la doppia fatica di farti notare e fare lo spelling
del tuo vero nome, dopo di che, a loro descrizione aspetti di
superare la porta che separa te dalla felicità (antidolorifico a
vena), e quindi non puoi fare altro che aspettare, infatti anche se
risuoni e chiedi di essere accolto, il tizio o tizia delle parole
crociate ti chiedono se conosci il nome dell'autore di Lady Macbeth,
e a te non ti viene nemmeno in mente di dire che lo conosci perchè
poi saresti costretto a dire loro anche come si scrive e in quel
momento non ne sei davvero certo se prima arriva la s o la h o la c,
poi mentre sembra che sta per arrivare il tuo turno perchè qualcuno
ha lanciato la spugna, arriva all'improvviso l'autoambulanza con la
solita vecchietta di turno, e ti passa avanti, e poi ancora un'altra
con il vecchietto che non respira, e un'altra ancora con il ragazzo
svenuto all'improvviso e tu che rimani a guardare e ti viene ancora
più da piangere, il che è un bene perchè magari qualcuno ti nota
ed entri prima di loro, ma è difficile, e infine quando è arrivato
il tuo turno dopo un tempo che và dalle sei alle tredici ore, ed
entri dentro, ti devi ricordare che devi assolutamente trovare il
modo di tramutare il tuo bollino bianco in verde, così almeno da non
pagare anche quell'attesa, e mentre cercano di trovare la tua vena,
in tentativi approssimativi, inizi piano piano a rilassarti perchè
sai che a breve tutto il dolore sparirà e inizierai a volere bene al
mondo intero, a tutti gli infermieri del pronto soccorso e in un
istante di caritatevole bontà rivelerai quel nome, Shakespeare.
CAPITOLO
QUATTORDICI
La
casa della signora Albanesa è stata ora occupata da una numerosa
famiglia. Padre, madre, sorella della madre, tre figli e la figlia
della sorella della madre. Loro vengono dalle Filippine e hanno
sempre il sorriso sulle labbra. Anche se vivono in un appartamento di
pochi metri quadri in sette. Il primo ad entrare nell'appartamento è
stato il padre. E' arrivato una sera. Tarda. Erano le undici e mezzo.
Sento suonare il campanello. E vedo quest'uomo, molto magro, un po'
stanco, al buio, con una enorme televisione in mano. Di quelle nuove
a schermo ultra piatto. Mi dice se posso tenere la sua televisione la
notte perchè non trovava più le chiavi del suo nuovo appartamento e
che il giorno dopo sarebbe tornato a riprenderla. Mi confessa,
immerso nel buio del corridoio, che quello strumento è l'unica via
di salvezza per potere sopravvivere a tre figli più uno, quello
della sorella della moglie, e di conservare quindi il prezioso con la
massima cura. Il giorno dopo verso mezzogiorno sento suonare ancora
alla porta. Era lui. Dietro quattro bambini.
Anche
loro hanno tirato fuori il loro stendino. Uguale a tutti quelli a
terra del corridoio. Si vede che anche loro lo hanno comprato
all'offerta lancio stendino da terra dai cinesi.
Da
loro l'addetta allo stendinaggio è la figlia maggiore. Si capisce
che non è contenta di questa mansione. Esce di casa con la cesta e
inizia a sbuffare. Poi le cadono i calzini. Poi le mutande. Così lei
sempre sbuffando li raccoglie e li appende. Io la osservo e le
sorrido. E lei anche mi sorride. E sono contenta. Perché invece le
figlie della Signora Mater Rumena non mi salutano mai. Quando torno a
casa e le vedo lì appiccicate alla mia porta e io cerco di sorridere
e dire ciao, loro si voltano dall'altra parte. Ma ho trovato un modo
di vendicarmi. Ogni tanto, quando mi viene voglia di mettere il mio
stendino di fuori, vado a rubare qualche molletta alla loro
postazione di stendino. Mi sento un po' più alleggerita.
CAPITOLO
QUINDICI
La
Signora Maria è morta perchè non aveva più voglia di vivere. Ma
non capisco perché.
Ogni
giorno io e il mio fidanzato cerchiamo lavoro. Ma non lo troviamo
mai. Oppure lo troviamo e poi lo perdiamo. Abbiamo imparato tutto uno
dell'altra. Non ci sono segreti tra noi. Passiamo così tanto tempo
insieme che i miei silenzi sono silenzi di pace e i suoi di sonno.
Questo è l'amore. E solo l'amore può sopravvivere a due anni di
poco lavoro. Poco denaro. Rara l'uscita. Eccezionale la cena fuori.
Il digitale terrestre poi ci fa perdere un sacco di tempo. Metti
l'antenna su, spostala un po' più giù. Rimetti tutto lì. Sposta il
cestino di là. Siamo veramente una coppia impegnata.
Ogni
occasione della vita potrebbe essere quella giusta. Alla centesima
esperienza capisci che è un gioco ironico. E ti convinci che non
arriverà mai. Forse era meglio prima. Anche se, Batman caduto dentro
il pozzo viene raccolto dal suo fidato maggiordomo che gli dici con
il sorriso da padre adottivo “Le cadute servono per farci rialzare
meglio”. Fino ad ora le cadute a me, personalmente, sono servite a
capire a quale pronto soccorso fosse meglio andare.
Le
mie riflessioni della vita sono abbastanza fluttuanti. Appena credo
di avere capito una cosa, ecco che arriva l'esatto contrario.
Qualcuno un giorno mi ha detto. Immagina che uno dei tuoi eroi
preferiti venga da te e ti dica”Insegnami le cose più importanti
che sai”. Cosa risponderesti?
Ci
ho pensato un po'. Non ho voluto chiamare Batman. Ma qualcun altro
simile a me. Ed è iniziata la nostra conversazione: “Caro Spider
Man siediti e ascolta. Non tingerti i capelli con l'henne che poi
potresti intossicarti, non mangiare troppo piccante che poi non
potresti sederti, apri la finestra del bagno ogni volta che ti fai la
doccia, comunica sempre i tuoi scatti all'A2A o Eni che sia che se no
poi quando arriva la bolletta perdi i poteri, non dire mai la tua
vera età anagrafica, trova una casa al primo piano o con l'ascensore
(va bè che te voli), non dimenticare le presine accanto al fuoco
mentre viene su il caffè, non girare in città in bicicletta senza
assicurazione, e infine, forse la notizia per te più tragica, non è
vero che i ragni mangiano le zanzare, creano solo ragnatele in tutta
casa. Ma non ti conviene cambiare mestiere per questo. Fidati. Tua
devota Fan.”
CAPITOLO
SEDICI
Mi
hanno rubato lo stendino. Quello mio. Personale. Lo stendino da
terra. Quello che usavo ogni tanto. Quello che mettevo proprio al
lato sinistro della mia porta. E ora non c'è più.
Questa
mattina dopo avere fatto la mia lavatrice, preso il cestello pieno di
vestiti profumati dall'orsetto della coccolino, apro la mia porta e …
mi accorgo stupefatta che il mio stendino non c'è più. Me lo hanno
fregato. Mi hanno rubato la mia parte di stenditura. Mi vogliono
forse rubare lo spazio e mettere un loro stendino da terra al posto
del mio. Ma io, il mio, lo riconosco. Anche se all'apparenza uguale a
tutti gli altri stendini presi dal cinese, il mio, quello personale,
ha incisa una A all'interno. A come Amore, Attento a te, Amore,
Attenzione è il mio stendino non il tuo. Ma non è servito. Me lo
hanno rubato. Osservo la fila di vestiti stesi, di corriere di
stendini, di profumi invadenti (forse dovrò fare una riunione di
condominio per decidere un ammorbidente comune) e io sono l'unica che
non potrà più farlo. Ma col cavolo che ve ne ricompro un altro.
Sciocchi. Terroni. Maledetti. Io vi denuncio. Già. E che cosa
denuncio? Che mi hanno rubato lo stendino? Che mi hanno rubato la
fiducia. Io a dire sempre sì, sì puoi mettere il tuo stendino qui
da me, si pure quello di tua figlia, pure quello di tua nipote, pure
quello di tua cognata, pure quello di tuo marito. Ma mò basta. Mò
la favola è finita.
Sono
rientrata, il mio fidanzato stava lavorando ad una nuova scultura, e
non badava a me, al mio dramma. Non ho voluto raccontare niente. Ma
mi sono messa a pensare. Il mio cervello mi stava mandando dei
messaggi, c'era qualcosa che mi stava sfuggendo. Qualcosa di
importante...e poi improvvisamente è arrivato. E ho capito. La
Signora Maddalena quella che piange sempre non appena apre la porta e
vede il corridoio, forse non ha deciso di mettere il suo stendino
dentro casa. Forse, e dico, forse, lo hanno rubato anche a lei. Certo
che potrebbe essere così. Io credevo che la sua infelicità l'avesse
portata a rinchiudersi (insieme al suo stendino da terra) dentro le
quattro pareti di casa sua. Invece no. Qualcuno qui dentro si è
portato via anche il suo pezzo di felicità. E il mio.
Sono
costernata. Incredula. Ma cosa se ne fanno di tutti questi stendini?
Tanto nemmeno li mettono dentro casa. Ma non mi voglio certo fermare.
Voglio essere determinata e andare avanti. Dopo aver visto tutte le
puntate della signora in giallo, i o o r a s o c o m e m u o v e
r m i. Esco di casa. Osservo silenziosa. Cammino. Arrivo fino
all'estremità opposta del corridoio. Apro la porta che ci separa dai
piani superiori. E incrocio la Signora Mater Rumena. Lei, un'amica e
sua figlia. Tutte davanti alla porta dell'altra sua figlia. Stanno
facendo una riunione segreta … staranno nascondendo tutti gli
stendini rubati e chissà che altro. Mi avvicino ancora di più e
cerco di sbirciare dentro casa. La Signora Mater Rumena mi ostacola
e vuole bloccarmi la visuale. Devo trovare uno stratagemma per
entrare dentro, immagino la Signora Fletcher, che avrebbe fatto lei,
forse si sarebbe fatta cadere un orecchino ma io non li porto, e
nemmeno l'orologio, allora, ho poco tempo, io le metto una mano sulla
spalla massiccia e le dico “Ha visto per caso il mio stendino?”
Un momento sospeso, un'aria senza musica, un brivido di paura, lo
sguardo fisso su di me, e ancora silenzio. Poi un gesto. Le mi toglia
la mano dalla spalla. Fa cenno alle figlie di entrare, chiude la
porta e sottovoce mi allontana. Che cosa sta cercando di fare? Qualè
il suo intento? Ci avviciniamo al corridoio e mi dice “Come
scusa?”. Ripropongo la domanda “Hai visto il mio stendino per
caso? Me lo hanno rubato”. Lei molto sorpresa. Spalanca la bocca
senza emettere suono e po dice “Come?” e io “Sì, me lo hanno
rubato.”Silenzio. Ancora silenzio. Vedo il suo viso che inizia ad
assumere una espressione di oddio cosa sta succedendo e allora io per
aumentare la sua pressione aggiungo “e secondo me, lo hanno rubato
pure alla Signora Maddalena” (nello specifico la Maddalena è
quella alla quale la Mater Rumena vuole rubare casa per metterci il
figlio e il suo stendino). A quel punto il viso della Mater Rumena si
fa bianco.
CAPITOLO
DICIASETTE
E
se poi un giorno ti venisse proposto un viaggio per la Calabria a
fare uno spettacolo sul tema della violenza femminile, da Sesto San
Giovanni, per rimanere lì soli due giorni, prospettandoti un
incredibile percorso in corriera della durata di dodici ore, ti
verrebbe da pensare che l'unica a subire una vera e propria violenza
sei tu, che infatti sei femmina. Qualcosa di nuovo, aveva detto il
mio oroscopo sta per succedere. E infatti più nuovo di una corriera
del 1800 che và alla velocità dei cavalli del 400 cosa potrebbe
essere? Il nostro spettacolo esibito davanti a 700 ragazzi calabri
con fascia di età che corre dalla scoperta della libido maschile
allo sterminio della voce del padrone.
Sono
molto nervosa.
Ho
dovuto perfino parlare con mia nonna al telefono “ma come fai ad
essere contenta di un lavoro così?”, mi ha detto, “perchè non
ti fingi malata? Devi per caso pagare una multa se alla fine non ci
vai?”, e ancora “Ma il tuo fidanzato è contento?”. Inizio a
sentirmi male, come uno spicciolo di anima che non si riconosce più,
anche se si specchia. Ancora non riesco a capire se questo genere di
lavori che sfrecciano dal cielo siano una benedizione o la metafora
dell'agnellino che viene sacrificato in nome della Pasqua. Ma la
Pasqua è lontana. E io sono qui. Che dopo sei giorni di monitoraggio
di voli aerei pulman corriere macchina taxi, ancora non sono riuscita
a capire come diavolo si fa a raggiungere quel buco di paese della
Calabria. Guarda i voli dal pc, ma non guardare troppo i voli sul pc
perchè poi i prezzi aumentano, riconoscono quel pc, allora mi devo
comprare un altro pc per guardare i voli da pc diversi così i voli
non si accorgono che li stiamo guardando e magari abbassano anche i
prezzi, che, mi domando, ma come fanno a sapere che è sempre il mio
pc a guardarli e non pc diversi, mio dio ma vale anche per i treni,
si vale anche per quelli, allora dovrei comprare un altro pc ancora e
confondere i voli gli aerei e i treni utilizzando i tre pc diversi,
ma allora vale anche per la corriera? No. Per quella no. Il prezzo è
sempre quello. I posti anche. Che glie frega alla corriera. La fila
per sceglierla sicuramente non c'è. Senza pausa. Le mie occhiaie. Il
mio pallore. Le mie coliche. Il mio umore. Senza pausa. Come ho fatto
a dire a mia nonna “sono tanto felice?” Ma felice di che? Io odio
la Calabria, odio le corriere e odio anche le donne. E gli uomini.
Odio il genere umano. Quindi per me non c'è differenza. Io non
desidero convincere 700 ragazzini imbecilli che l'amore è un fiore
da proteggere, magari loro i fiori ancora se li fumano. Piuttosto mi
metto, sempre SE riesco ad arrivarci Lì, a fumare i fiori anche io.
Mi
dovrei calmare un attimo. Ma mi hanno appena rubato lo stendino. E
questo mi ha distolto dalla mia indagine vola con confort dal nord al
sud atterrando con il paracadute in mezzo all'aula dove ci sono 700
mostri che stanno aspettando PROPRIO TE. Ma io col cavolo che vado ad
atterrare lì. Piuttosto lancio una bomba. Così poi possiamo parlare
davvero di qualcosa. Io dovevo solo fare uno spettacolo sulla
violenza femminile, io non c'entro con questo sterminio, io sono solo
una fragile donna. Si figuri, riescono pure a fregarmi l'unico
stendino da terra che avevo. Quasi quasi ci mando la Mater Rumena in
Calabria. Lei saprebbe benissimo come fare. Lei sì.
Ma
ora la Mater Rumena è spaventata. Mi dice con un filo di voce che
qualcuno le ha rubato diverse magliette stese sui suoi due stendini a
terra. Le figlie credevano si trattasse di una disattenzione della
madre, “io non sono così stupida so bene cosa ho steso e cosa no”
aveva risposto loro. Inizio a preoccuparmi. Sono state diverse le
volte in cui ho pensato di portarmi a casa di nascosto dei magnifici
tappetini colorati stesi amabilmente sulla sua ala di stendini da
terra. Ma non l'ho mai fatto. Avevo paura di essere scoperta. Che
magari un giorno venissero a fare una perquisizione a casa mia e non
facessi in tempo a nascondere la refurtiva. Già temo per una
probabile visita della Rai. Dove vivevo prima la maggior parte delle
persone rimanevano chiuse dentro casa senza rispondere mai al
citofono, un po' come fa mia nonna. Solo che lei lo fa per paura di
sconosciuti che magari con una scusa qualsiasi poi le potrebbero
svaligiare casa. Allora quando si decide di andare a trovarla,
bisogna mettersi d'accordo sull'ora precisa, da una parte perché è
sorda, dall'altra per non rimanere in attesa di non risposta davanti
al freddo del suo portone. I miei amici invece si proteggevano dal
canone Rai. Ognuno di loro aveva un codice personale, tre tocchi di
campanello per Giovanni, due tocchi veloci e uno lento per Giorgia,
uno solo molto lungo per Lorenzo. Enrico invece non aveva codici e
non rispondeva proprio mai. Le persiane di casa erano sempre chiuse.
Il citofono staccato. Per andare da lui dovevi darti appuntamento al
semaforo della via. Si metteva gli occhiali scuri e ti sussurrava,
“vieni dietro a me, senza farti vedere senza farti riconoscere”
Ma da chi? Ho anche immaginato che l'innominato nemico pubblico Rai
potesse essere una copertura per traffici illeciti, o ancora che lui
fosse un agente speciale passato dall'altra parte, alla Rai appunto.
Comunque pagare il canone anche solo per sentire la radio è una cosa
ancora più illecita secondo me. Ma nonostante questo, io, i
tappettini colorati della Singora Mater Rumena non li avevo mai
toccati.
Qualche
giorno dopo mi imbatto nuovamente con lei (Mater Rumena). Il suo
volto non è più quello di una volta. Sembra da giorni accarezzata
da una leggera linea di vena nevrotica. Ancora mi ferma e aggiunge
alla sua ultima scoperta un'altra rivelazione “Mia figlia mi ha
detto che sentito due che facevano l'amore su di sopra”. Su di
sopra coincide con la soffitta. Una minuscola porta di legno nasconde
un'ampia sala traballante, con pavimento che se lo guardi troppo
rischia di crollare, con, buttati qua e là, cadaveri di topi morti e
ovunque, sparsi per il pavimento, decine e migliaia di piume di
piccione. Solo le piume però, perchè o piccioni non muoiono mai.
Ecco, la prima riflessione che mi è venuta è stata mia interiore
personale, che schifo, ho pensato. E anche, meno male che non sono
crollati di sotto sopra il mio letto magari proprio mentre stavo
facendo anche io la stessa cosa. Però le ho chiesto se fosse davvero
sicura della cosa. Lei ha detto sì, era certa, la figlia aveva
sentito voci tipo ah ah ahhhhh, (me le riproduce come esattamente le
aveva sentite dalla figlia e la figlia dai due corpi sconosciuti). Le
chiedo se per caso, se i lamenti di ah ah ah erano solo di voce
femminile e se, alla fine avesse riconosciuto anche un AH più
profondo, secco e breve, maschile. La Mater Rumena non sa cosa
rispondermi, per cui decidiamo di andare da sua figlia a chiedere
maggiori dettagli. Sono elettrizzata. Ho sempre sognato di
interpretare la parte di un investigatore privato, di un agente
speciale della CSI, e ora sono qui a realizzare finalmente il mio
sogno. Ci sediamo al tavolo tutte e tre. La figlia prepara un tè
caldo e mentre sorseggia chiude gli occhi e prova a ripensare alle
voci, che ora risuonano lontane, dei due amanti. Un istante, un altro
istante ancora e infine ...no, è sicura, la voce maschile non c'era.
Gli ah ah ah erano solo voce di donna e secondo lei giovane. Mi
spiega che secondo lei le giovani donne ancora non si lasciano andare
a AAHHHH AHHHHHH eccitanti e vibranti. Ma piuttosto ad accenni
timorosi. Forse è vero. Ma la figlia della Singora Mater Rumena non
aveva mai conosciuto la mia amica Ginevra. All'epoca aveva 25 anni.
Ed era riuscita a svegliare tutto il palazzo la notte. Tanto che alla
mattina la vecchietta della porta a fianco le aveva detto che anche
lei voleva fare colazione come la mia amica, se questo le avesse
permesso di essere così leonessa. Ma tutto sommato è vero. Ancora
più vero che solo due ragazzini potrebbero decidere di andare a fare
l'amore lassù senza paura di topi scarafaggi cadute. Avrei preferito
farlo sulle scale e lungo il corridoio piuttosto. Dentro un bagno
pubblico. Tra un albero e un altro di un parco, nelle cantine di
palazzine più graziose, nella macchina di qualche sconosciuto, in
chiesa dietro all'altare. Ma mai, nella mia soffitta.
CAPITOLO
DICIOTTO
Tra
l'organizzazione viaggio calabrese alla scoperta dello
stendino/stendini perduti, in mezzo c'è la memoria. Lo studio della
mia parte di testo. Sono molto felice perchè questa volta interpreto
la Morte, e dico un sacco di cose cattive. La docente americana, la
Greta Seacat, ci aveva detto che il nostro inconscio a suo modo,
cerca di riproporre le condizioni specifiche che dobbiamo ricreare
per interpretare un certo personaggio. Non voglio nemmeno immaginare
cosa avrebbe elaborato il mio inconscio se avessi dovuto confrontarmi
con la parte di una donna che subisce violenza, se in così pochi
giorni dallo studio del mio copione, dentro il mio condominio si è
creato un mistero all'apparenza irrisolvibile. Certo che è opera
della mia parte oscura. Gli eventi accadono perchè tu li fai
accadere. Perché tu possa crescere, secondo la filosofia buddista,
perché tu possa raggiungere il regno dei cieli, secondo i cattolici,
perchè tu possa diventare il tuo personaggio, secondo Greta Seacat.
Certo il mio inconscio poteva benissimo lasciarmi lo stendino da
terra, visto che la Morte sono io, e la Morte non si farebbe mai
fregare lo stendino, nemmeno dalla Mater Rumena. Ma si sa, la parte
misteriosa di noi, quella celata, quella che svela ma non dice,
quella che manifesta ma non rappresenta, quella parte la sa lunga. E
non bisogna intervenire troppo.
LA
SIGNORA MATER RUMENA
Non
so nemmeno quale sia il suo vero nome perchè non me lo ha mai detto.
Quando si è presentata a me, suonando con forza il campanello alle
dieci di sera, si era solo messa a discutere di tutti i problemi di
spazio, di diritto all'uso pubblico del corridoio, di estensione di
spazio anche per la sua famiglia e i suoi stendini. Lei aveva avuto
il permesso direttamente dal proprietario di casa. Così mentre il
padrone di tutti i nostri spazi e le nostre case, aveva creato un
intimo rapporto con lei e lei soltanto, tutto il resto dei condomini
si trovava nella posta delle strane lettere firmate
dall'amministratore in persona. Dicevano più o meno così “SI
AVVISANO I SIGNORI CONDOMINI CHE è SEVERAMENTE VIETATO LASCIARE
OGGETTI DI QUALSIASI GENERE E FORMA FUORI DAL CORRIDOIO”. Ora
nell'oggetto di qualsiasi genere e forma rientra anche quello
rettangolare con due gambe che si aprono e chiudono con delle righe
di plastica orizzontali che creano degli spazi vuoti tra una striscia
e l'altra. E credo, tutte le biciclette in miniatura dei bambini, e
anche quel materiale ingombrante finalizzato ad arte creativa e
perfino concettuale. Gli annunci cartacei con firma severa
dell'amministratore vennero cestinati un secondo dopo che erano
apparsi. Qualcuno giurò di non averli mai visti. Non abbiamo nemmeno
dovuto incontrarci a qualche riunione segreta da sottosobborgo
condominiale per decidere che quei volantini non erano mai arrivati.
Dalla cassetta della posta al cestino differenziato, la carta. Un
dipendente dello studio di amministrazione provò anche ad appendere
l'annuncio in formato poster all'entrata del palazzo. Ma non funzionò
nemmeno quello. Era come se fosse trasparente. Qualcuno diceva “Io
non capisco l'italiano” oppure “che significa oggetti di
qualsiasi tipo?” o anche “che c'è stasera per cena?”.
Io
ci ho fatto gli areoplanini. Ne ho fatti diversi. Di colori diversi.
C'era quello giallo che vietava l'abbandono di oggetti sugli spazi
comuni, primo areoplanino, poi quello verde che proibiva l'uso del
corridoio come contenitore di materia inerme, secondo areoplanino,
poi quello rosa chiaro che assicurava che il problema si sarebbe
risolto, terzo areoplanino, poi il poster che citava tutti in
giudizio, forse al giudizio di Dio, che ci avrebbe fatto un
areoplanone adatto alle sue dimensioni maestose, non certo al
cospetto del proprietario che si era appena comprato un biglietto per
la Maldive. La scomparsa del poster aveva coinciso con le dimissioni
dell'amministratore che aveva deciso di cambiare mestiere ed era
diventato il capo di una grande fattoria nei colli piacentini.
Avevamo
fatto del bene anche a lui.
CAPITOLO
DICIANNOVE
Ho
sognato un gatto. Rosso. Maschio e grosso. Ho sognato che mia madre
mi ammazzava il gatto. Ho sognato che ero al compleanno di un'amica.
E anche lei aveva il gatto. Così io non facevo che piangere per la
morte del mio. Chissà che significa. Forse un problema irrisolto con
mia madre? Forse ancora la voce del mio personaggio Morte sta
vibrando dentro me? Forse che il gatto rappresenta la Calabria e
vorrei che un uomo dai capelli ramati la eliminasse? Forse che il
gatto rappresenta qualcosa che mi appartiene e che mi hanno tolto?
Sì, la mia libertà di dire, non ci voglio andare in Calabria.
Piuttosto prendete il gatto. Io sono la Morte che me frega. Meglio un
gatto morto oggi che un viaggio in corriera domani. Mi sento un po'
tradita, infatti su google c'è scritto che quando un gatto muore
qualcosa o qualcuno mancherà alla fede data. Da chi mi sento
abbandonata? Non lo so. Forse in generale dalla vita ma mi pare
un'affermazione troppo romantica. Certo che quando quest'estate mi
sono venute dieci cisti in testa e un'infiammazione ai polmoni mi
sono sentita tradita dalla mia colorazione naturale e anche quando mi
sono recata di corsa all'erboristeria di fiducia, ancora ignara della
causa legata alla mia improvvisa malattia, l'uomo di luce mi ha
consigliato di fare un bell'impacco all'hennè perchè l'hennè
brucia via ogni male. Infatti a me stava bruciando i polmoni e il
cuoio capelluto. L'ho scoperto giorni dopo. Dal medico omeopata che
si era formato in Germania. Test dopo test era giunto alla seguente
conclusione “Signorina, si è presa una bella intossicazione alla
tinta.” E io come colpita al cuore “Che significa?” E lui con
serena noncuranza “Che non si può più tingere i capelli”.
Punto. Cento euro. Arrivederci.
Il
gran vento del nord stava scuotendo il mio corpo tutto, anche se
eravamo a Luglio inoltrato. Sarei annegata nei miei capelli grigi e
bianchi sarei rimasta intrappolata in quella parola sale e pepe o
ancora peggio brizzolata, i ministri della vendetta si stavano
abbattendo su di me. Ma per che cosa? In cosa ho peccato? Per
meritarmi tutto questo. Ancora una volta, non lo so.
Sono
andata dal parrucchiere. In tempi di crisi è difficile farsi i
capelli. Ma io so come muovermi e sono preparata “Salve vorrei fare
un taglio, me senza shampoo che li ho appena lavati e senza piega che
poi vado in piscina.” Falso. Falso. Ma spendo solo dieci euro.
Credetemi, dieci euro in un periodo di tale castrazione sono molti,
ma lo specchio che mi parla e lo vedo che parla proprio a me, è
ancora più brutale. Sono entrata poco convinta e ne sono uscita
ancora meno convinta. Ho i capelli corti con sfumature di bianco e
grigio, su una base la mia che è già di per sé opaca. Non
percepisco la mia femminilità. Dove sarà andata a finire? E
sopratutto, mi sono mai sentita veramente donna? E che significa?
Ancora non lo so. Prendi la domanda sospesa e mettila da parte. Prima
o poi qualcosa accadrà, e i capelli ricresceranno. Ma, mentre ero lì
seduta, la giovane pollastrella mi guarda e commenta “bisognerebbe
fare una meche un colore un colpo di sole, voi che dite?”. Primo,
chi te lo ha chiesto di chiedere un parere alle sciacquette di
clienti che sono sedute vicino a me? Loro si voltano verso di me.
Rimangono in silenzio. La più bionda di tutte piena di ricci e
boccoli e con la erre moscia allunga la parola “Ma secondo me
dovvesto fave come mia madve un bel ciuffo e taglio pulito”. Brutta
stronza. Ma tua madre quanti anni ha? Ma che ti cadessero tutti i
ciuffi di Gesù Bambino o ancora meglio, che venissi scelta a fare la
parte del neonato al prossimo presepe vivente in Siberia. Io faccio
finta di non averla nemmeno sentita e ritorno alle mani che stanno
aleggiando sopra la mia testa. “Fammi un taglio giovane, perché io
sono giovane”. Pausa pausa pausa mi viene da piangere un'altra
volta perché non è vero! Io mi sento vecchia con i capelli bianco
grigi e pure povera e pure sola e senza lavoro e senza futuro, il che
mi fa sentire forse giovane perchè i vecchi il futuro non lo hanno,
a parte Jodorowsky che ha 85 anni si è fatto un video tutto nudo e
lo ha messo su facebook dicendo che la sua vera risorsa economica è
il fumetto, i film li fa solo per richiamo del cuore. Io ho 41 anni e
non mi verrebbe mai in mente di mettermi tutta nuda in un video,
specialmente perchè ho sempre le mestruazioni, per cui proprio nuda
non potrei mai esserlo, e poi perchè non faccio né film ne fumetti.
Mi piacerebbe fare film. Ma odio i fumetti. Quindi anche qui, secondo
la logica di Jodorowsky, non cambierebbe niente. E allora che mi ci
metto a fare tutta nuda su you tube?
CAPITOLO
VENTI
Nel
condominio di mia sorella sono tutti belli. I single sono belli. Le
coppie sono belle. I genitori sono belli. I figli di quei genitori
sono belli. Gli animali dei figli di quei genitori, sono belli anche
loro. Nel mio condominio no. Non c'è una rilevanza estetica
significante. Si vestono tutti male. Sono sempre arrabbiati. Passano
il loro temo a fare le lavatrici e a stendere davanti a casa mia.
Nessuno si saluta a vicenda. Ci si indulta da un piano all'altro.
Camminano con il volto basso, fumano, buttano la cenere e i mozziconi
a terra, dentro il mio vaso di margheritine bianche, che ora sono
tutte morte e usano e invece che parlare strillano. Da un piano
all'altro. Sono molto felice di vivere qui. Lo dico sul serio. Posso
mostrarmi per quello che sono. Esplorare il mio mondo cinico. Fumare
appena esco di casa. Non assumere stupefacenti per sorridere. Fare
andare la lavatrice di notte. Perchè a quell'ora nessuno dorme. I
proprietari del ristorante giocano a tiro al bersaglio con il bidone
del vetro, piovono grida dagli inquilini del primo piano che ricevono
risposte di altrettante bottiglie frantumate, e insieme cercano di
trovare un linguaggio comune, un'altra lingua che sa di gorgheggio
che non si genera dal cuore ma dalla bile. La psicomagia crea un
misterioso mondo di relazioni nuove. Un incantevole mondo di
extraterrestri.
La
fiducia è una memoria antica. La sua vera natura risiede nella
capacità di saltare agli ostacoli e vedere dentro il cuore cosa è
davvero importante. Mi rimetto nelle mie mani per varcare la soglia
della mia stupidità e andare dentro e cambiare i pezzi che mi stanno
ostacolando. Non c'è niente di vero se non quando sono nella mia
casa che sono i miei occhi e il mio respiro. Oltre c'è solo quello
che io voglio e decido di vedere. E allora cosa mi riprometto di
imparare ora e per sempre?
Non
lo so, al momento vorrei solo andare a dormire e continuare a
sognare.
CAPITOLO
VENTUNO
La
bellezza. Non ci sono identità diverse da quelle che in ogni momento
cerco di immaginarmi. Io credevo nell'eleganza sottile di Audrey
Haupurn nella fragile bellezza di Marylin, ma mai nella ricrescita
dei capelli bianchi. Invece ora accade questo. Che se non mi guardo
allo specchio mi viene voglia di farlo e quando lo faccio scintillano
sopra a me capelli che mi ricordano mia nonna. E mia nonna alla mia
età sono sicura che non ne aveva nemmeno uno. Sono l'unica della mia
famiglia ad avere avuto un'esplosione complicata di bianco sulla
testa. Ma il vero problema è, primo, riconoscere che per te è un
problema e non fare finta di niente, secondo, analizzarlo nella tua
camera da letto da sola e senza confrontarti con nessuno, terzo
accettare te stessa per quello che sei e che stai diventando. Il
primo punto l'ho superato.
La
Signora Albanesa uno giorno come tanti, sempre seduta a fumare il suo
tabacco davanti alla grande porta finestra, mi sorrise e sempre con
gli occhi fissi ai miei capelli allora rossi aprì la bocca non per
fare uscire fuori il fumo ma “finalmente ti sei tagliata capelli
che prima sembravi una nonna ora davvero bella. Ma sei incinta?” .
Mi sono sempre rifiutata di dare dall'incinto a qualcuno se non ne
fossi davvero certa. Incinta tua sorella, ho pensato. Ma non si
poteva fermare al nuovo taglio dei miei capelli? “No non lo sono.”
Le avevo dato la possibilità di tramutare la conversazione in altro,
invece lei “Forse allora tu colica? Perchè sembri un po' gonfia di
pancia.” Gonfia di pancia tua sorella. “No, nemmeno una colica
per questa settimana” credendo che la conversazione sulla mia
pancia si fermasse lì e invece no “allora secondo me tu allergica
al latte, tu bevi latte?”. Mi veniva da prendere lei la sua
sediolina il tabacco e anche sua sorella, tutti insieme, e, superati
i limiti dello stendino da aria, buttarli oltre a lui, oltre la
tettoia, il più lontano possibile da me. Avvertita una certa
insofferenza, il mio fidanzato cercava ancora una volta di non
ridere, e se solo l'avesse fatto, gli avrei detto che ero incinta
davvero, così tanto per dire, così tanto per scrollare la sua
sicurezza dalle spalle, così tanto per rendere il mio trauma
interiore, un suo trauma esteriore. Mi prese la mano, salutò la
Signora Albanesa e mi riportò a casa. Dolce contenitore di lacrime,
il mio divano mi prese e mi strinse a lui. Accesi la televisione e mi
sintonizzai sul mio programma preferito, Beautiful.
La
visione giornaliera di una soap opera come quella crea dentro il mio
animo uno spazio di possibilità che aumentano la fiducia nel futuro
in termini di ricchezza. Donne giovani, tutte belle, sempre con
trucco perfetto, percorrono lo schermo piene di slancio, con
documenti importanti da formare, con sfilate da organizzare,
interviste e amori con altrettanti miliardari. L'unico personaggio
disagiato che è entrato ha tramutato il suo stato sociale nell'arco
di due puntate. Questo nella vita non capita mai. Io lotto con la mia
autostima ogni giorno per rassicurarla, il riconoscimento sociale
pubblico è indipendente dalle tue qualità. Anche alla tua età. Ci
credo sempre poco e il mio tentativo di ipnotizzare la mia autostima
finisce per convincerla del contrario. A quel punto mi metto sul
divano e guardo un mondo parallelo e mi sento meglio. Mi basta poco.
A parte oggi, che mi si è rotto il televisore. Sembra una cosa di
poco conto, ma il silenzio acuto che si crea quando l'unica voce che
riesci a sentire è la tua, quella interiore, ti rendi conto che
quell'apparecchio è fondamentale per la tua sopravvivenza. Ho
chiamato l'Amministrazione e qualcuno mi ha detto che prima di
mandare un antennista nel condominio di periferia avrei dovuto
consultare tutti i condomini per sapere se loro avevano lo stesso
problema. L'ho fatto. Con la Signora Mater Rumena non è stato
difficile perchè lei e la sua famiglia sono sempre qui al mio piano
davanti alla mia porta a proseguire l'infinito atto dello
stendinaggio. Loro non avevano problemi di ricezione. Sono andata a
suonare alla famiglia sempre felice che vive proprio al mio stesso
piano. Ho trovato tutti e quattro i figli davanti allo schermo ultra
piatto a guardare Peppa Pig. Non è possibile, ho pensato, tra tutti
quelli che vivono qui, proprio a me doveva capitare? Non mi sono data
per vinta e sono andata direttamente dalla Signora Maria. Mi ha
aperto. Fatto entrare. Era molto agitata. Aveva un mazzo di carte in
mano. Li conoscevo, li ho usati per anni, consultati in
continuazione, cercato persone che me le facessero, creato una
dipendenza malvagia tra me e loro e l'ultima volta che me li sono
fatti fare sono andata in depressione per due mesi, che poi, è
coinciso con la terza partecipazione al pronto soccorso. Una mia
amica mi aveva detto che voleva andare a Londra ad aprire un negozio
di vestiti e mi aveva chiesto se l'impresa potesse interessarmi. Ero
un po' ciondolante nel pensiero, in fondo qui in Italia non riuscivo
a trovare niente di soddisfacente, forse quella poteva essere una
buona opportunità. Per sbaglio, un giorno, mentre mi trovavo nello
studio di amministrazione per parlare del problema degli scarafaggi
autunnali, e raccontavo di questa proposta, una signorina mi suggerì
di andare a fare una consultazione con una cartomante molto brava. La
chiamavano Teresa. E aveva un'impresa di pulizie. Ma a tempo perso
leggeva il futuro. Io non ci volevo nemmeno andare, la mia risposta
sarebbe stata subito no, invece dopo pochi minuti la Signorina alla
scrivania mi aveva già fissato un appuntamento. E' incredibile come
nella società di oggi, si debba attendere mesi anni e forse ere, per
l'arrivo di un elettricista, e due minuti soltanto per una
cartomante.
Il
giorno dopo sono andata. La sua casa si trovava proprio di fianco al
Bingo scommesse (sopratutto perdite). Ho suonato. Lei mi ha risposto.
Sono salita. Ancora la porta di casa, aperta, lei dietro, non la
vedo, entro, vedo una mano che appare dal nero e poi lei. Lei. Lei.
Lei, una donna di una sessantina di anni. Bionda biondissima, con un
enorme fiocco rosa di tulle sulla testa, occhi chiari ma nascosti dal
trucco azzurro, guance rosse come il fiocco profumo impegnativo e,
con pochi denti in bocca. Ho avuto un attimo di incertezza perchè
non riuscivo a capire se la sensazione fosse di Like a Vergin
quaranta anni dopo, o la strega di Biancaneve dopo un incontro con
Paris Hilton. Me ne volevo andare via. Ma non ho fatto in tempo. Mi
ha preso la mano e trascinato nel suo studio. Subito ha avvertito che
la mia energia era molto bassa. “Mh … non lo so se riuscirai mai
a fare qualcosa con questa vibrazione che sento provenire da te”,
prende le carte, continua a fissarmi, le butta sul tavolo, ne pesca
tre, le guarda e dice “Infatti è proprio come pensavo... mi
dispiace ma qui vedo solo carestia delusione insofferenza”. Ma
perchè sono venuta qui? Io volevo solo un antennista, dov'è
l'antennista? Dov'è? Dove siete finiti tutti? Perchè sono rimasti
solo i cartomanti? Perchè sono qui? Perché …. Lei capisce che io
ci sono rimasta male. Allora mi conforta, e mi assicura che a tutto
c'è un rimedio. Il suo, era una pozione magica. Mi introduce nel
mondo della magia bianca. Lei non è veramente la proprietaria di
un'impresa di pulizia che fa milioni, ma la portatrice di guarigione,
la maga in rosa che aiuta la gente e sconfigge il male. “Se io
aiuto le persone a stare meglio sono contenta ma se poi quelle stesse
persone parlano di me e mi tradiscono la mia magia avrà effetti
catastrofici nelle loro vite”. Iniziavo davvero a sentirmi male.
L'unica cosa che avrei voluto fare uscita da quella casa sarebbe
stata la trasmissione orale dell'evento e invece ora non mi era
permesso, perchè, se già partivo da una situazione del mio
presente, drammatica, il mio racconto avrebbe portato ancora più
sfortuna nella vita. E quella pozione. Mi faceva venire i brividi, la
nausea e l'assoluto terrore. Mentre si accinge a prepararmi la
pozione non perde tempo per farmi notare il suo piede rotto “Lo
vedi si? Sai chi è stato?” io rimango in silenzio “Tutti credono
che io sia inciampata per caso, che sia stato lo scalino la causa del
mio incidente” ancora in silenzio (io) “Invece no. Ti citerò un
nome. Mr X. Lui, è lui il responsabile della ferita” forse avrei
dovuto continuare a tenere la bocca chiusa invece parlai “Ma allora
perchè non lo denunci?”. Lei alza lentamente il volto, sposta i
capelli, cerca i miei occhi e poi mi svela che “Lui è responsabile
a livello sottile, con le energie del male, con la parte nera
dell'anima ha provocato la rottura del mio piede. Purtroppo non ci
sono ancora agenti speciali delle forze del bene. Quindi, capirai che
devo stare zitta.” Avevo sempre più paura ma lei continua “Ma
non credere che per quest'uomo sia finita così. Mi sto allineando
con tutto il potere del cosmo. Nessuno potrà più fermare questo
flusso. Io sono investitrice del Bene. E' il mio compito”.
Sono
uscita da quella casa attorcigliata confusa perturbata. Volevo solo
un conforto per il futuro e mi sono ritrovata con una montagna di
credenze e di paure da ripulire. Io avevo solo un problema con la mia
autostima. Ora con tutto il cosmo intorno. Volevo solo un antennista.
A me bastava vedere la milleseicentoventesima puntata di Beautiful.
CAPITOLO
VENTIDUE
Oggi.
E' iniziato il mio nuovo lavoro all'ufficio di Amministrazione
reparto Censimento Sezione Catasto, collocamento - piani sotterranei,
freddo e isolamento. Io e 150 condomini racchiusi in altrettanti
plicchi di fogli raccolti in contenitori di carta plastica con inciso
sopra ad ognuno (forse con il sangue di quello che lavorava lì prima
di me), il nome del condominio corrispondente. Una scrivania in mezzo
al nulla, sette sedie vuote a parte una, la mia, un telefono che
dovrà essere utilizzato, ma al momento non fa altro che suonare ad
intervalli quasi regolari di circa 5 o 6 secondi, intervallato dalla
voce di qualcuno che grida all'interfono “qualcuno risponda!”
ma
non è rivolto a me, certamente no, dato che sono collocata al di
sotto degli uffici pubblici, quelli senza riscaldamento e mi devo
focalizzare sulla scheda 27 che corrisponde al Sig. Mattia P. che è
proprietario di due box foglio 24 cellula 57 sub 8 il primo e 9 il
secondo e pure di un appartamento del quale è proprietario al 33 per
cento, l'altro non si sa, allora ora dovrei prendere il telefono ora,
che non squilla, e fare il numero e parlare con il Sig. Mattia P. e
interrogarlo senza sembrare che lo stia facendo, su chi sono gli
altri proprietari. Ma se invece io lo ricatto e, ovviamente in tono
da non interrogatorio, gli dico, che se non si decide a rivelarmi il
nome degli altri due proprietari, ancora con tono lieve, io gli
faccio arrivare una bella multa da centocinquanta euro con posta
prioritaria, sempre addebitata a lui, lui, forse si sente
incoraggiato a parlare oppure no? No, mi rimprovera il tutor del mio
primo giorno di lavoro. E' sempre meglio non litigare. Meglio è
apparire gentili e delicati, presenti e professionali, diretti ma non
invadenti. Necessario è pensare a loro, i condomini, i veri re.
Allora niente. Mi faccio una camomilla e riprendo la cornetta.
La
cosa che sto imparando dei condomini è che sono una razza speciale,
a parte, che si trasformano non appena gli viene affidato un codice
di appartenenza. Certo, siamo tutti un po' condomini in questo mondo.
Io compresa. Allora significa che già dalla nascita siamo destinati
ad essere così, chi viene gettato in un condominio, chi in un altro,
chi ha la fortuna di vivere in un palazzo tutto suo, chi in una
baracca senza amministratore, chi è costretto invece a condividere
la sua vita in mezzo a cento appartamenti e ad affrontare ogni giorno
la difficile scelta tra “lo denuncio oppure no?”, “lo sa che il
suo cane mi ha fatto la cacca sul balcone ancora una volta? Gli
ammazzo il cane o gli insegna a prendere una mira diversa?”,
“preferisce che invito una squadra di rugby a casa verso mezzanotte
o decide di tappare la bocca al suo appena nato bambino?” … e
tutte queste voci, pensieri, ora sono in mio possesso, io conosco i
loro codici, i loro nomi, io sono superiore a loro perchè io ho il
potere. Il potere del censimento.
Ore
09.00 primo tentativo di chiamare la Signora Cirilla. Nessuna
risposta. Ore 09.10 ho già fatto tre telefonate andate a buon fine.
Ore 09.25 dopo aver rimesso mano al numero di telefono di Cirilla,
che ancora non risponde, mi imbatto nella Signora Gina, che mi dice
che non sa bene di cosa sto parlando, di che codice voglio, di cosa
significa la parola catasto, che se per caso a qualcosa a che fare
con la parola a-n-a-g-r-a-f-i-c-a , allora lei è nata il 23 luglio
del 1940 a Barletta anche se poi si è trasferita a Milano, da
piccola, perchè la sua famiglia era molto povera, e che ora è tanto
stanca perchè è appena tornata dall'ospedale con il braccio rotto,
quindi smetterà di chiamare l'ufficio, questo ufficio dove mi trovo
io, per, (direi io sfrantumare le palle) fare la combattiva, dice che
ora ha bisogno di riposo e di stare tranquilla, per questo,
figuriamoci se ora, perde tempo con me e con i miei codici, mi dice
arrivederci e butta giù il telefono. Ore 09. 45 ricevo una chiamata
minatoria da una certa Signora Mamoni, che mi chiede per quale
diavolo di motivo lei, con tutte le cose che ha da fare, deve perdere
tempo ad aprire il foglio del rogito di casa sua e dare i maledetti
codici a me, proprio a me, che in effetti dopo solo quattro giorni di
lavoro, mi domando perchè mai io, devo essere costretta a prendere i
codici della Signora, perchè, primo, mi sta antipatica, secondo,
preferirei prendesse la multa, invece allungo la mano oltre il
telefono e trascino “il foglio” che al punto numero 6 dice che
tutti i condomini sono obbligati a consegnare questi codici al loro
Amministratore, obbligati e bla bla bla, che se non lo fanno secondo
la legge bla bla bla, si ritorce contro tutti i proprietari di casa e
bla bla bla, MULTA. Ecco allora la Signora che rimane in silenzio e
mi dice che farà quello che può. Le dico, grazie. Ma penso,
strozzati. Ore 10.00 dodicesimo tentativo di contattare la Signora
Cirilla. Niente. Prendo in mano la sua scheda. Scopro che è nata nel
1927. Mio Dio. Sarà mica morta? Con i miei codici in mano?
Oggi
mi hanno spostato in un altro ufficio. Ai piani alti. Dove c'è il
riscaldamento. Vicino alla macchinetta del caffè. Sono giù
cresciuta di grado. Sono un po' indecisa se lasciarmi andare alla
felicità o alla frustrazione. Ci penso ancora un po'. In quel po'
arriva un piccolo ometto, magro magro, con la barba e i capelli
rossi. Entra nel mio regno, si abbassa, si mette sotto il tavolo, io
mi sposto, meno male che non ho la gonna, si trascina per cinque
secondi e poi si ferma. Davanti ad un punto preciso. Una specie di
tombino. Misterioso. Sarà un passaggio segreto? Sarà un
nascondiglio per le anfetamine degli impiegati? No. Sarà il
contenitore dei cavi elettrici. Ma perchè lo apre? E dove va? Ma chi
l'ha mandato? Sta tornando. Con in mano un computer. Degli anni 90.
Oddio. Lo sta montando proprio nel mio ufficio. Sono cresciuta ancora
di grado? No. Devo solo ricopiare i milleseicento nomi lì dentro.
Oddio (2) ma allora dove le nascondete le anfetamine? Dove? Dove?
Ore
11.45. L'uomo magro e rosso ancora cerca di montare il pc degli anni
90. Mi chiede se voglio collegarmi ad una stampante. Io dico sì. Lui
nemmeno risponde. Sbuffa. Io cerco ancora le anfetamine. Non avrei
mai dovuto smettere di drogarmi. Avrei dovuto saperlo che la vita non
mi avrebbe condotta lì dove avrei voluto con facilità, che mi
avrebbe fatto attraversare le vie ignote del signore e dei signori
dei condomini di tutta Milano.
Ore
dodici e 30. Pausa pranzo. Mi sbaglio. La pausa pranzo è tra
mezz'ora. Mi tolgo il cappotto. Il cappello. Faccio scorrere la sedie
a velocità 0,00 per far scorrere il tempo. Riaccendo il computer che
va esattamente alla stessa velocità. E non appena il calcolatore
digitale dà il segnale di accensione, sono arrivate le 13.00. E'
finalmente arrivata l'ora. Arrivederci.
Ogni
giorno pare un attimo perso nella grande avventura della vita, anche
se prima la vita ti pareva noiosa. Io mi alzo ogni mattina alla
stessa ora, le sette. Del mattino. E lo facevo anche prima di questo
lavoro. Solo che ora mi appare più faticoso. Arrivo nell'ufficio e
ancora non sono capace di salutare tutti, di fare il giro di ogni
ufficio, ricordarmi i nomi e dire ciao e buon giorno. Vado dritta al
mio spazio. E incomincio a lavorare. Poi dato che mi devo alzare
spesso per fare fotocopie, caffè bagno e acqua, qualcuno lo incontro
sempre. E il mio saluto inizia sempre un po' più in là delle otto e
mezza. Il caffè prima mi piaceva molto. Ora invece non riesco
nemmeno più a berlo.
L'uomo
che lavora nell'ufficio vicino al mio si spruzza del deodorante
neutro roberts a spruzzo sempre alla stessa ora. Le 17.45, un quarto
d'ora prima della chiusura dell'ufficio. Pensavo lo facesse per
cambiare l'aria consumata. Certo alcune cose non mi tornavano. Tipo,
come mai decide di cambiare l'aria poco prima di uscire e non dopo
poco essere entrato? Poi, non sarebbe stato più facile aprire la
finestra invece che invadere la piccola stanza di vapore profumato? O
ancora, ma il suo ufficio doveva proprio essere vicino al mio? Che
oltre all'odore di chiuso, di carta, di fotocopiatrice, di umano
logorato dal lavoro, devo anche trovare lo spazio nei polmoni per
inserirmi quello scioccante odore proprio prima di uscire? Ecco. Le
cose che non riuscivo a capire. Quando poi mi sono accorta che tutti
quelli che avevano l'ufficio vicino a lui, iniziavano a tossire ad
avere conati di vomito, e mancanza di respiro, ho chiesto, in
privato, a tutti loro, che magari, qualcuno, poteva rassicurarlo,
l'uomo con il deodorante in mano, che il suo ufficio non aveva
bisogno di aggiunte di aria, che era perfetto così, che l'odore era
proprio quello giusto, tipico di un ufficio di amministrazione, e che
lui ci stava bene lì dentro, mentre sarebbe stato difficile
immaginarlo, data la sua fisicità fortemente maschile, all'interno
di una profumeria. Ma la risposta che mi venne data mi portò ancora
più sconforto. Mi venne rivelato che l'uomo non utilizzava il
deodorante per areare il suo ufficio, ma solo per nascondere la puzza
di fumo da sua moglie, che ancora credeva che Lui fosse riuscito a
smettere di fumare. Da almeno cinque anni. Io se fossi stata la
moglie mi sarei domandata se per caso, invece che andare in ufficio,
mio marito si fosse trovato una commessa della Rinascente come
amante. E sarei stata molto più contenta a sapere che nella bocca
teneva stretta la sigaretta e non la lingua di qualcun altra. Ma il
mondo è bello perchè è profumato. Anche se l'ultima persona che è
venuta a trovarmi profumata non lo era per niente. Gli piaceva non
lavarsi. Gli piaceva tenere gli stessi vestiti per giorni e giorni.
Gli piaceva che gli altri riconoscessero il suo odore. Come l'uomo
con il deodorante in mano, l'ospite straniero aveva lasciato nel mio
salottino cucina, un odore antico, che arrivava da lontano, e che non
se ne voleva andare. Le sei del pomeriggio diventavano mattina, e la
sera tornata a casa, ancora inebriata dalla fragranza del buongiorno,
venivo completamente abbattuta da un odore che aveva tutto dell'uomo,
troppo dell'uomo, e nulla della profumeria.
Sono
molto felice di una cosa però. Molte delle ragazze che lavorano lì,
guardano Beautiful. Almeno posso parlare di qualcosa.
Oggi
è arrivata Concetta, mi ha allungato un plicco di fogliettini tutti
pinzati assieme e ha detto : “Ecc io volev dir, che non son propr
intelligent che non ci capisc tant di ste cous, me lo fa la mia amic,
che non è che è più intelligent di me, ma forse sì un po' di più,
che non mi poss far aiutar dai miei figl, che so grand lontan, anche
se quell propr più grand, ora vive con me, e quand mai se ne và via
a mmo, che l'ha lasciat la fidanzat hanno comprat cas, e poi bast,
lui cuore rott, ha detto, bast, bast, non mi voglio fidanzar mai più,
e da me è tornat, 50 ann e quand più la trov una ragazz ammo, ma
lui non ci capisc nient di sti codici della legg, di condomini, non
sa nient, nient, però è trist depress, ma io glielo dic, meglio che
ti mett l'anima in pac, che un'altra non la trovi più, e mmo a
quell'eta e quand più la trov un'altra? È bell sì un po'
invecchiat ma insomm … che per una mamm è difficil veder una cosa
così, ma io glielo dico, ormai starai qui, almen una casa l'hai,
no?”
La
ascolto, seriamente, attentamente, ma non perchè non capisco quello
che dice, in fondo basta aggiungere una vocale ad ogni fine parola.
Lei è talmente angelica quando parla, sopratutto in modo così
atroce del figlio. Chissà, lui, il figlio, cosa sentirà nel cuore
ogni volta che la madre gli predice il futuro. Forse la morte. Ma
almeno, come dice lei, una casa la ha.
CAPITOLO
VENTIDUE
Maddalena
Sacra Immacolata si vedeva sempre meno. Anzi per niente. Ho pensato
che rimanesse chiusa in casa giorno e notte. Ma non avvertivo nessun
rumore. Alle volte, certe notti, mi pareva di avvertire un massiccio
masso di chiavi che cercavano di aprire la porta. Fino ad un sabato
pomeriggio. Ero fuori dalla mia porta per dare una annaffiata ai
piccoli fiori bianchi dentro il vaso sopra il mobile bianco, di
fianco alla mia porta, e improvvisamente arriva un ululato. Oddio, ho
pensato, ancora la coppia della domenica mattina. Hanno aggiunto
anche il sabato. Però poi mi sono accorta che non erano le solite
urla. No no. E ancora, non provenivano da fuori il corridoio. Ma
dalla casa di Maddalena Sacra Immacolata. Ma, ero certa, quella voce,
quel modo di gridare sconsiderato, non poteva essere quello di
Maddalena. Lei parla solo per piangere. E in tutti questi mesi non ho
mai sentito urla provenire da loro. Quel porco, ho pensato. Quel gran
porco del marito. Si sta facendo un'altra. Ne sono sicura. Infatti
una settimana prima, l'ho incontrato stranamente davanti alla sua
porta, che sta davanti alla mia porta, l'ho salutato, gli ho detto
che pensavo fossero andati a vivere da un'altra parte, lui ha detto
no, perchè? (perchè siete spariti, e pure il vostro stendino, ecco
perché) allora glio ho chiesto come stava Maddalena, lui bene, che
stava in ospedale, io sono rimasta zitta ma ho pensato a come fa una,
e non solo Maddalena, a stare bene, se sta in ospedale. Lui non mi ha
dato altre spiegazioni e si è chiuso la porta dietro. Ritornando a
questo presente, quello in cui sono io con l'annaffiatoio in mano a
dare da bere ai fiori bianchi, quello in cui io sento
involontariamente sussurri e grida dalla porta di Maddalena, io che
devo pensare? Mio Dio! Forse l'ha ammazzata. Forse è entrato di
notte in ospedale e le ha messo un cuscino sulla bocca. Stanco del
suo pianto ha preferito ammazzarla. Forse ha cercato di farlo prima
ed è per questo che una settimana prima mi ha detto “Maddalena si
trova in ospedale” ed è per questo che ha chiuso in fretta la
porta dietro di sé. Quel maniaco nano porco, che ha sempre cercato
di entrare dentro casa, dal primo giorno, con scuse inadatte, tipo,
mi fai vedere come hai montato le zanzariere, ma le tue persiane sono
tutte intere, ma perchè non mi chiedi della mia collezione di
farfalle, che ti mando il mio fidanzato e te le fa vedere lui.
Ora
sono molto preoccupata. Non so bene cosa fare. Rientro. Ne parlo con
il mio fidanzato. Lui ride. Ma, come fa a ridere ogni volta che gli
rivelo una tragedia? Mi dice, primo, come faccio a essere sicura che
quel mugolato non sia quello della Signora Maddalena. Io apro la
porta e glielo faccio sentire. Anche lui l'ha vista in faccia e l'ha
sentita piangere. Dunque, gli dico, sei convinto che non è Lei? Lui
ancora ride, dice, ma come faccio a saperlo, e che se anche fosse
un'altra, non era davvero detto che il marito l'avesse ammazzata. Si
trattava solo di un'amante.
Rimango
stupefatta. Non ci avevo proprio pensato. All'amante. Senza tentato
omicidio.
Non
ci avevo proprio pensato.
CAPITOLO
VENTITRE'
Il
nostro amico Chen ha trovato un altro lavoro. Ci ha chiesto in
prestito la bicicletta. E io gli ho dato quella del mio fidanzato.
Lui in cambio mi ha regalato dell'erba. Mi ha detto che è la sua
passione. E che a casa sua, forse le Filippine ma ora non ricordo, ha
un'intera piantagione. Ricca e abbondante. Sono tornata a casa con
l'erba in mano e con l'idea che il nostro amico Chen fosse un
narcotrafficante di maria. Ho pensato che se anche fosse, mica
esercitava la professione qui a Sesto San Giovanni. Ma solo nelle
Filippine. E che quindi la polizia delle Filippine non sarebbe mai
arrivata a noi. Però, mi sono anche detta, questa porzione che ci
ha regalato, l'ha presa direttamente dalle Filippine o dal cortile di
casa sua? Nel cortile di casa nostra sono sicura di no. E' vero che
lui ha trasformato la terra accanto alla spazzatura una foresta
amazzonica, ma se lì dentro ci fosse stata anche la maria me ne
sarei accorta. Una volta quando ero molto giovane avevo provato a
coltivare dei semini di maria sul terrazzo di casa mia a Milano,
insieme alle mie inquiline. Dopo qualche giorno la piantina sembrava
iniziare a dare i primi frutti. Dopo pochi altri un piccione si
mangiò tutto. Senza lasciarci niente. Il piccione fatto di maria
volava davanti al nostro condominio. Lui si capiva che era felice da
come volava. Noi guardavamo lui e volevamo sparargli. Ma lo abbiamo
lasciato vivere.
Dopo
circa quindici anni di astinenza da qualsiasi sostanza stupefacente
mi sono concessa il lusso di fare un tiretto di erbetta ecologica. La
mia pressione è scesa a meno venti. Sono diventata bianca in volto.
Ho bevuto una bottiglia di coca cola. Ho guardato san remo pensando
di assistere ad un capolavoro e mi sono addormentata alle nove e un
quarto. Ho sognato che l'intero reparto della polizia delle Filippine
suonava alla nostra porta. E noi cercavamo di scappare dalla finestra
ma non potevamo perchè c'erano le zanzariere. Poi è suonata la
sveglia. Ho aperto gli occhi. E mi sono trovata in un altro incubo.
La realtà.
CAPITOLO
VENTIQUATTRO
Oggi
sono sempre seduta alla mia scrivania a fare il catasto di tutti gli
immobili del mondo. Sempre oggi il telefono ha squillato centoventi
volte in un'ora, il citofono altrettante, nonostante l'ufficio la
mattina sia chiuso, e tutti sembravano colti da spasmi e attacchi di
panico. Incolonnati al centralino mille signore che portavano un'età
consistente, tutti sordi e metà con il bastone. Abbiamo capito che
era scoppiata una caldaia che aveva creato incisivi danni dentro il
palazzo abitato da 190 unità e 400 codici anagrafici. La ragazza che
lavora al centralino cercava di spiegare a voce molto alta che
sarebbe stato opportuno fare fotografie alle parti rovinate prima di
iniziare a ripulire il tutto così da potere essere risarciti dalle
assicurazioni. “Deve fare le foto capisce , le foto!”, e le
signore rispondevano “che foto? Che foto devo fare?” e lei “le
foto alle parti danneggiate” e loro “ ma io non lo so se ho una
macchinetta fotografica, forse da qualche parte nel cassetto ma non
sono capace di mettere il rullino” e poi “ma io ne ho trovata una
su un giornale posso usare quella?”. Ore di sacrifico vocale per
noi prima, e per tutti i parenti dei Signori poi.
Qualcuno
nella ressa è riuscito a raggiungere il mio ufficio, in corsa, con
in mano le carte catastali, plichi e plichi datati 1924, carte bene
arrotolate intorno alle braccia, carte sopravvissute allo scoppio
della caldaia, carte che dovevano essere interpretate da me e dal mio
fidanzato. Certo mi sono dimenticata di dire che anche il mio
fidanzato lavora qui con me. Ci sosteniamo a vicenda. Alle volte io
mi dimentico di chi sono e mi allontano dal presente, viaggio in un
cosmo fatto di mare e pesciolini rossi. Allora lui mi richiama alla
realtà. Così quando lui cerca di introdursi nel mio sogno e si
mette a fare il bagno nel mare che io sto sognando, io gli dico di
uscire dall'acqua e di tornare a lavorare. Nel mio mare non ci sono
bagnini, non ci sono persone, non c'è niente. Soltanto io il mare e
il mio fidanzato.
CAPITOLO
VENTIQUATTRO
Sono
dentro casa e sento dei rumori che provengono da fuori. Qualcuno sta
usando uno stendino. Ma non so chi sia. E anche se uscissi di fuori
sono sicura che sarebbe per me una sorpresa. Ogni volta vedo una
faccia nuova con un bambino nuovo. Usano sempre gli stessi stendini
che appartengono alla mater rumena e famiglia. Ma come fanno a
moltiplicarsi in così poco tempo? Io non riesco nemmeno a fare un
figlio dopo tre anni e loro nell'arco di due, generano piccole
creature che da grandi utilizzeranno quegli stendini che ora sono di
proprietà dei genitori. Sono passati venti minuti e lo sconosciuto
di fuori ancora stende. Ma quanti calzini hanno? Ma quante mutande?
Ma quanti sono? Ma non si stancano mai di fare le lavatrici? Che poi
bisognerebbe anche parlare del detersivo che usano. Insomma, dato che
i loro stendini sono alloggiati tutti allo stesso sconfinato
corridoio, come minimo dovrebbero usare un detersivo comune, un
ammorbidente, lo stesso, per tutti. Non è concepibile salire le
scale aprire la porta e tuffarsi in un mondo di odori diversi.
Suggerirei coccolino blu concentrato. Per tutti. Indistintamente. Se
bisogna rispettare il decoro condominiale all'esterno, quindi tutti
con le stesse persiane color verde marcio, allora lo stesso decoro
deve avvenire anche all'interno. Decoroso odore di coccolino
concentrato blu.
CAPITOLO
VENTICINQUE
Non
sono un femminista. Ma ci sono certi uomini che mi fanno pentire di
essere donna, e rinascerei uomo solo per potergli dare un pugno sulle
palle. Questo è l'effetto che mi dà un tipo che si aggira nel
nostro condominio. Vive al primo piano. E ci viene a trovare spesso.
Cioè, viene a trovare il mio fidanzato. Non me. Perchè è già
tanto se mi saluta. Lui arriva suona e si mette a parlare di arte di
libertà di vino e di sesso. Si mette anche a parlare di piselli. Non
quelli da mangiare. E mentre parla io ogni volta cerco di trovare un
filo rosso che possa collegare le nostre esistenza. Ma ogni volta sto
filo mi viene voglia di bruciarlo. E di farglielo mangiare. Mentre
brucia. Forse dovrei usare altre tecniche. Tipo fare finta che non
esista. Come lui fa con me. E smetterla una volta per tutte con la
storia che bisogna essere buoni e cortesi per forza. Che me frega. Mi
sta antipatico. Non mi piace. E' solo l'amico del mio fidanzato. E
vive al primo piano. Non so. Non vorrei certo che lui andasse via da
questo condominio. Lo auguro a me. A lui invece di rimanerci fino
alla fine del mondo. Insieme a tutti gli stendini e alla mater
rumena.
CAPITOLO
VENTISEI
La
porta davanti alla mia è silenziosa ormai da settimane. Nessuno è
più tornato. Nessuno si è più visto. Sarà iniziata una caccia
all'uomo? L'uomo che non ha pagato l'affitto da mesi? L'uomo che
potrebbe avere ammazzato sua moglie? L'uomo che dopo avere commesso
un omicidio si è trovato un'amante?
Il
proprietario di tutto questo condominio è un uomo che zoppica. E per
salire fin su da noi, deve partire almeno due ore prima. Porta un
bastone. Ha gli occhi azzurri. Ma è un uomo privo di scrupoli e
molto avido. Tutti in questo condominio dicono che lui ha dato il
permesso a loro di portare gli stendini davanti alla mia porta e le
biciclette accatastate al piano di sopra, lì sulla ringhiera che
conduce alla soffitta abitata da piccioni e misteriosi amanti. Il
popolo del secondo piano quindi, dice di essere autorizzato da
quest'uomo zoppo dagli occhi blu. Ma quando lui riesce faticosamente
ad arrivare al mio piano, cambia faccia, gli si blocca anche l'altra
gamba e inizia a telefonare all'amministratore. L'ultima volta mi ha
pure dato la colpa di invadere la proprietà comune con i miei
stendini. Allora è scemo, penso. Primo, come fa a credere che io
possa avere sette stendini tutti per me? E decidere pure di metterli
in ordine sparso lungo il corridoio. Secondo. Dovrei lavarmi e
cambiarmi almeno dieci volte al giorno per riuscire a tenerli sempre
tutti stracolmi. Terzo. Come crede che mi vesto sto zoppo dagli occhi
blu? Non mi conosce per niente.
Sono
intervenuta subito. Ho per inciso detto che quegli stendini non erano
miei! Ora mi viene il dubbio che tutta la famiglia della mater rumena
abbia parlato male di me allo zoppo dagli occhi blu. Gli abbia detto
che io invado tutto il piano (che se anche fosse che ve ne frega? Voi
vivete al piano di sotto. Maleducate) impedendo al corridoio di
risplendere in tutta la sua luce? Aggiungerei luce di scarafaggi. Ma
sto zitta. Potrebbe anche non essere andata così. Non posso credere
che la mater rumena stia cercando di incastrarmi.
Devo
rimanere accorta.
E
intanto il mio fidanzato continua a ridere.
CAPITOLO
VENTISETTE
E'
notte. Una signora anziana sta dormendo profondamente. Sogna di tè
caldo e biscotti inglese. Una cameriera con il vestito nero e il
grembiule bianco glielo versa nella tazza. E' bollente. Ed è in quel
momento che la caldaia della palestra scoppiò. Due piani sotto il
suo appartamento. I doppi vetri scoppiarono brutalmente. E la Signora
si svegliò.
Rimase
immobile e senza respiro davanti a quello che rimaneva della sua
cucina. Non fece niente. E nemmeno il suo cuore. Che infatti smise
di battere. Proprio in quel momento. Anche se un attimo prima di
finire a terra l'anziana signora pensò un ultima volta a sua figlia.
Precipitò a terra con un sorriso sulle labbra.
CAPITOLO
VENTOTTO
Non
lo so che cosa succede quando si supera la sensazione di avere
fallito. Di avere superato anche la risonanza della parola,
fallimento. Prima hai solo un punto di vista che è il tuo che cerchi
di fare indisturbato dalle voci del mondo e sopratutto dalle tue
(voci) che ancora non senti. Credi ogni volta di realizzare la cosa
giusta che porterà chissà dove. Successivamente capisci che il
chissà dove non è da nessuna parte se non in aumento e crescita di
una sola parte che è quella dalla quale sei partito cioè te stesso.
E insieme arriva improvvisamente il mondo e poi le voci del mondo e
poi le tue di voci. E in un attimo tutto il tuo mondo creativo viene
gettato giù. Ma poi una volta frantumato lo raccogli e ricominci da
capo. E ancora. E ancora. Fino a quando oltre al mondo sei anche tu
che ti frantumi. E lì non ci puoi fare proprio niente. Se non
assistere al tragico e inevitabile crollo di tutto il tuo essere.
Emotivo psicologico fisico e alle volte ormonale. Una bella botta. E
mentre sei lì che cerchi di trovare una via di scampo un modo
un'idea un'ispirazione, l'unica cosa certa che ti verrà a trovare
sarà tutto il resto del mondo che ai tuoi occhi se la cava molto
bene, anche e nonostante la crisi universale che colpisce il mondo
intero. Oltrepassato tutto questo e superato anche il mal di schiena
non ti resta niente. Se non un gran vuoto in cui non emerge davvero
niente. Non ci sono fantasie non ci sono desideri non ci sono
strategie non ci sono bugie non ci sono soddisfazioni non ci sono
passioni travolgenti se non l'ultimo film di Lars von Triers che ha
ridato luce e brivido alla vita quasi spenta. Alcuni saggi dicono che
questo è il momento migliore perchè le cose possano accadere. Ma
quali cose?
Ora
in questa catastrofica visione della vita la casa della Signora Maria
è stata occupata dalla Singnolina Anna e dico proprio Signolina
pelchè lei arriva dalla Cina e ha continuato l'attività sartoriale
della defunta. Al principio era un po' difficile perchè Anna e le
sue sorelle non parlavano affatto italiano. Allora tu armato di buona
volontà ti affacciavi alla sua casa negozio e cercavi di farti
capire con frasi elementari “io bisogno di orlo pantaloni capire tu
orlo pantaloni?”. Lei comunque non capiva una parola e le sue
sorelle pure, e non si capisce perché tutti quanti si sforzavano di
parlare (con lei) un italiano privo di verbi di aggettivi e di senso
logico. In poco meno di un mese i clienti avevano peggiorato il loro
italiano base, sostituito le elle con le erre e viceversa tanta era
la confusione ed erano tornati a casa con pantaloni al ginocchio
aspettandosi un semplice orlo. Ma la comunità non si voleva
rassegnare. Anche perché tutte le sarte del quartiere ormai
parlavano solo cinese. Sarebbe stata un'incredibile perdita di tempo
e di pantaloni ricominciare tutto da capo. E Anna divenne la
principale sarta di riferimento del mio condominio.
Prima
di iniziare il lavoro all'Ufficio catastale, mi sono imbattuta in un
altro lavoro che credevo potesse portarmi denaro in tempo veloce e
poco faticoso. Fare i braccialetti a casa. Fare i braccialetti a casa
significa: ricevere metri e metri di filo che sembra la lenza dei
pescatori, pinzette, modelli base da seguire e copiare e quintali e
quintali di vagonate di perline, stelline, ranocchiette, cuoricini,
lunette, soli piccoli medi e grandi, orsacchiotti e tulipani. Insieme
ovviamente a gancetti di chiusura, gancetti di apertura, gancetti di
rinforzo, gancetti per impiccarsi con la lunga coda dei
braccialettini che hai appena composto. Sì. Avevo la casa invasa di
roba inutile brutta e soffocante. Ma sarei diventata ricca? No. Non
lo sarei diventata. Perchè non avevo considerato che ogni
braccialetto richiedeva attenzione e concentrazione, lavorio manuale
certosino, piccole dite che cercano di infilare gancetto uno, piccola
pallina, gancetto due, altra piccola pallina, incastro uno, sferetta
piccola, gancetto tre, piccola pallina, perlina uno due tre quattro e
cinque, incastro pallina incastro, orsacchiotto incastro pallina
incastro, perlina sei sette otto nove e dieci, incastro pallina
incastro orsacchiotto due, perlina undici dodici tredici quattordici
quindici e sedici, incastro pallina incastro orsacchiotto tre,
gancetto uno, piccola pallina, gancetto due, altra piccola pallina,
incastro uno, sferetta piccola, gancetto tre, chiusura, fine. La
fine. Un solo braccialetto mezza giornata di lavoro, 25 centesimi,
fazzoletto uno piango, fazzoletti due piango ancora, fazzoletto tre
il mio fidanzato ride e si soffia il naso.
A
confronto il mio lavoro all'ufficio del catasto è un gran passo in
avanti. Se avessi vent'anni. Se non avessi consumato la mia vita a
dedicarmi ad altro. Ma non devo essere disfattista. Perchè come
dicono gli astri, presto cari Leoni ci sarà una sorpresa: “Avete
la sensazione di aver perso tutto?” Si, ce l'ho. “Avete la
sensazione che vi abbiano rubato qualcosa?”Si ce l'ho. “Avete la
sensazione che il vostro fisico abbia risentito di questi ultimi tre
anni di Saturno Giove Marte contro?” Sì ce l'ho. “Ora cambierà
tutto cari Leoni. Accadranno cose che voi leonini non avete mai
percepito, vedrete la luce lì dove ora c'è solo una perlina,
ritornerete a sedere sul vostro trono, voi siete Leoni”. Con un
oroscopo così mi affretto a fare tutti i compiti che ora potrebbero
spettare ad una bilancia o a una vergine. Perchè poi io tornerò con
lo scettro in mano e il regno di Danimarca sarà di nuovo mio.
CAPITOLO
VENTINOVE
Sono
entrati i ladri dentro l'ufficio dove lavoriamo. Hanno portato via la
cassaforte. I libri catastali li hanno lasciati lì. C'erano per
fortuna pochi soldi dentro. Hanno portato via alcuni computer. Il mio
con dentro i codici catastali no. L'hanno lasciato lì. Tra parentesi
me lo ero pure portato da casa, che se me lo rubavano mi facevano
anche un favore, così mi avrebbero almeno rimborsato di un pc nuovo.
Ma no. L'hanno lasciato lì. Hanno rubato perfino la bandiera della
Juve. Ma quella del Milano del mio fidanzato no. Quella l'hanno
lasciata lì. Per una volta ho riso io invece che lui.
Dopo
qualche ora è arrivata la polizia. Ci ha messo qualche ora. E in
quell'ora l'ufficio ha ripreso il lavoro. Quando poi sono arrivati
hanno pure sbagliato entrata. Trovata la porta giusta si sono messi a
gridare “non toccate niente non toccate niente dobbiamo prendere le
impronte digitali”. Tutti ci siamo immobilizzati. Non ce lo siamo
fatti ripetere due volte. Qualcuno ha pure spento il computer (i
pochi rimasti insieme al mio) e telefonato a casa dicendo che sarebbe
tornato per pranzo. La Polizia si è diretta nel luogo del furto.
Hanno ribadito il concetto delle impronte digitali e tutti li avevamo
presi sul serio. Io mi aspettavo un valigetta con guanti e polverina
bianca, microscopi e occhiali tridimensionali. Il capo invece si
stava agitando, tante persone in piedi a fumare a chiacchierare a
parlare a non lavorare, e tutto davanti a lui, era davvero troppo. I
poliziotti, quattro, in piedi anche loro, fermi, a guardare non so
che a cercare chissà cosa visto che la cassaforte ormai non c'era
più. Non dovevano nemmeno capire come fosse entrato il ladro o i
ladri perché noi tutti già lo avevamo capito prima di loro. Io ero
impaziente. Impaziente di vederli aprire la valigetta. Non avessi
scelto la carriera artistica avrei fatto l'agente speciale csi. Ho
iniziato la mia gavetta a soli 13 anni con il tenente Colombo, Nero
Wolf, la Signora Fletcher poi, Twin Peaks, Poirot, squadra di
polizia poco perchè gli italiani sono poco credibili, CSI LA
Confidential, I Soliti Sospetti e perfino un Decetive in corsia. Ho
imparato ad osservare la gente, a fare le domande giuste, a
riconoscere le impronte, notare le scarpe sporche di fango,
confrontare gli alibi, pedinare senza essere vista, e molto altro
ancora. Ho anche imparato che era molto importante andare in giro con
la valigetta, quella speciale degli agenti di polizia in missione.
Impaziente. Impaziente di vedere quella scena non in televisione ma
di fronte a me, nella realtà. La polizia era lì. Noi eravamo lì.
Io ero lì. Impaziente. Impaziente di vedere quella valigetta
aprirsi. Ancora una volta gli agenti di polizia esortano a non
toccare niente. E nessuno sta toccando niente da ormai venti minuti.
A quel punto mi volto verso di loro. E mi accorgo che non hanno
niente tra le mani, niente poggiato a terra, niente sopra il tavolo,
niente di niente, niente che possa somigliare ad una valigetta da
agenti speciali che devono analizzare e riconoscere le impronte
digitali di possibili assassini. Se ne accorge anche il capo. Se ne
accorgono tutti. Loro non si accorgono di niente fino a quando il
super capo dice che il tempo è denaro e che se devono fare quella
cosa delle impronte è meglio che la facciano subito. I quattro
agenti di polizia si innervosiscono. Si guardano tra di loro e dicono
cose tipo “ma non la dovevi prendere tu? Ma no, tu, ma perchè
sempre io ...”. Poteva succedere una cosa sola. Che il capo
mettesse a lavorare anche loro. Invece ne accadde un'altra. Uno
squillo di un telefonino. Con la suoneria di star trek. Uno dei
quattro poliziotti in divisa senza imbarazzo rispose. “E' il
comandante” disse. Sembrava una cosa seria. Tutti noi cercavamo di
ascoltare la conversazione. Di captare qualche segnale. La
conversazione si concluse con “va bene comandante, stiamo
arrivando”. Solo un breve momento che serviva a spegnere il
cellulare e rimetterselo in tasca e guardandoci orgoglioso ci disse
“Siamo spiacenti ma dobbiamo andarcene. Siamo stati inviati ad una
trasmissione televisiva, ci devono intervistare, ci stanno
aspettando. Magari le impronte le prendiamo un'altra volta”. Bè.
Certo. Un'altra volta. Vorrebbe dire che rimaniamo qui a fare niente
fino a che non tornate voi? Credo sia stato il pensiero di tutti. A
parte quello del capo che disse solo “Bene possiamo tornare a
lavorare”.