giovedì 9 gennaio 2014

Il condominio di periferia

Si sono sciolti i cani
(nel mio quartiere)


Così l'altro ieri ho fatto una gita, di quelle che lo scorso anno ne facevo tante. Ma l'altro ieri è stato diverso. Ero accompagnata da due guardie del corpo e io non mi sentivo poi così male. Arrivata a destinazione ho suonato il campanello. Il tizio vestito di azzurro verde con le maniche tirate sù mi guarda in silenzio con aria quasi di sfida. Allora io dico, anche un pò sommessa, "le devo dire come sto?" No, dice lui, se vuole ordinarmi una pizza. Io avevo capito che non ero in una pizzeria. E ho detto tutto quello che dovevo dire. Lui allora mi dice, "ma sti farmaci chi le ha detto di prenderli?" E io quasi confusa "Mia mamma". A quel punto il mio accompagnatore numero uno o due si allontana, e arriva ancora del silenzio. E aggiunge ..."Sua madre è medico infermiere ..." No, è solo mia mamma. E anche l'accompagnatore numero due uno si allontana. E io rimango zitta. Lui anche rimane zitto. E da lì è iniziata la storia di alice nel paese delle meraviglie.

CAPITOLO UNO

Vivo in un condominio ai margini della città. Benchè sia situato al centro della periferia della grande città, il mio condominio ha tutte le caratteristiche di un condominio che potrebbe essere ai margini dei margini della periferia della periferia della città. Ci sono ad esempio gli scarafaggi. Quelli marroni e quelli neri. Grandi e piccoli. Famiglie inseparabili, probabilmente del sud, che non si allontanano mai da tutti i parenti. E li vedi subito. Subito nel cortile del mio condominio. Ciondolano. Tutto il giorno, ma sopratutto la notte. Poi sulle scale. E ciondolano anche lì. E infine direttamente in tutti gli appartamenti del mio condominio. Io però sono più fortunata della Signora che vive al piano di sotto. Lei mi ha raccontato che se li trova direttamente nel letto, che le cadono dall'alto, che si arrampicano e poi prendono il volo per planare sul suo guanciale. Che schifo. Non ho dormito per una settimana dopo che me lo ha detto. Non mi è mai successo per fortuna. Da me arrivano la mattina per lo più.
Appena sono arrivata qui, mi si è presentata davanti una scala, di quelle toste e dure da affrontare solo tre piani ma che quando li facevi parevano dodici. Arrivata in cima ho trovato una porta, proprio a fronte, una porta in legno, una porta che credevo portasse direttamente aperta, alla mia nuova casa. Invece no. La porta nascondeva un lunghissimo e spazioso e anche luminoso corridoio. Enorme. Grande. E lungo la navata altre tre porte. Anche se la prima cosa che ho notato non erano affatto le porte. Ma un enorme massa che al principio pareva indefinita. Ma ad seconda occhiata si poteva anche catalogare con: due cassettiere sul lato sinistro, un armadio frantumato sul lato destro, uno specchio appoggiato sempre situato al lato destro, lì dove c'era l'armadio, una scarpiera, piena e colma, un altro piccolo tavolino giusto all'ingresso, e al fondo di tutto, una incredibile e spettacolare porta finestra d'acciaio che faceva uscire tutta la luce del giorno e faceva uscire anche due maestosi stendini carichi di vestiti messi massicciamente proprio lì davanti e … meraviglia delle meraviglie, una altro grande stendino, messo proprio fuori dalla porta finestra, attaccato con una corda spessa sulla ringhiera del balconcino e lasciato lì, sospeso nell'aria, tra la porta finestra e il vuoto. Dio esiste allora. Ed esisterà anche il mio appartamento. Ma dove? Sarà la porta a fianco dell'armadio? Quella a fianco della cassettiera? No. Era proprio quello davanti agli stendini. Non gli stendini davanti alla mia porta. Ma la mia porta davanti gli stendini. Nonostante tutti gli ostacoli sono riuscita ad aprire finalmente la porta. E ancora più finalmente sono entrata. Nella mia nuova casa.
Non prima però di essermi imbattuta con i miei vicini di casa. Mi ci sono imbattuta perchè nonostante casa loro fosse quella porta centrale sul corridoio, la porta che si trovava di fianco la scarpiera, loro, si trovavano davanti alla porta di casa mia, davanti agli stendini, di fianco la porta finestra di fronte al grande stendino sospeso nel vento. Stanno fumando. E bevendo piccoli bicchierini di vodka. Ancora fumando del tabacco. La prima cosa che penso è, che puzza, la seconda è, perchè stanno fumando davanti alla mia porta, di fronte alla porta finestra, vicino agli stendini, e non dentro casa loro? Ho detto Salve e loro mi hanno risposto ciao e si sono seduti. Ah già, perchè si erano portati anche due sedie da casa per stare più comodi. Giorni dopo ho scoperto che non se le erano portate da casa nel senso che poi finito di fumare e bere le sedie sarebbero tornata dentro casa insieme a loro. No. Le sedie sarebbero rimaste lì. Dico lì e preciso che lì è sempre quella zona che si trova davanti alla mia porta di casa di fronte alla porta finestra vicino agli stendini.
Sono entrata in casa finalmente. Una casa completamente vuota. Una casa luminosa e bella. Una casa che eliminata la parete tinteggiata di viola scuro simile alla coccarda che si mette fuori dalla porta per segnalare il morto, direi magica. Ci sono due finestre che prendono davvero tutta la luce del sole, e la prendono perchè le persiane sono tenute insieme dal filo divino e lo chiamo divino perchè è inesistente, e filo, perchè c'è davvero un filo che le lega al muro, bisogna solo augurarsi che non arrivi della pioggia forte o del vento, per sperare che rimangano lì, al muro. Al momento non mi sono davvero domandata cosa avrei fatto l'estate, era fine settembre, il caldo era già passato, quindi felice e sprovveduta, mi sono tenuta le mie belle finestre libere da ogni costrizione.

Ogni giorno è un nuovo giorno dove è necessario sapere ascoltare ed essere sempre pronti ad imparare qualche cosa. La pazienza è la cosa che in assoluto ho imparato in questi due anni all'interno del mio condominio. Lo specchio della vita. La pazienza e l'attesa. Se ti si rompe un tubo di un lavandino, non sognare che potrai sistemarlo il giorno dopo. E nemmeno il giorno dopo ancora. Ma dovrai aspettare almeno dieci idraulici che seguendo il loro ritmo interiore decideranno quando venire a risolvere il problema. O ancora, quando ti rendi conto che le persiane sono fondamentali anche e sopratutto in estate, immaginare che basterà una telefonata. E nemmeno due. E nemmeno tre. E nemmeno messaggi minatori. Devi solo confidare che nessuno possa rubarti le due persiane che sono state tolte mesi prima dalla finestra e lasciate lì fuori dal condominio. Che poi ci vorrebbe anche coraggio a rubarle. E ancora. Se hai difficoltà con l'impianto di riscaldamento fai prima ad aspettare l'invernata dell'anno dopo. Ecco tutto questo me lo ha insegnato il mio condominio. E non solo. Il mio condominio,lo specchio della vita mi ha portato a riflettere su ben altre e importanti cose. Che come risultato hanno una sola parola. La pazienza.

Non posso ricostruire in ordine cronologico tutto quello che è accaduto all'interno del mio condominio. Non posso. Ricordo però il giorno della prima morte avvenuta qua dentro. La vecchia Signora del secondo piano. La sarta. Ma tutti noi lo abbiamo saputo, non certo per la coccarda viola posta fuori dal portone. Primo, perchè noi non abbiamo un portone. Secondo perchè dopo che il proprietario di tutto il mio condominio ha deciso di cambiare le chiavi per entrarci dentro, nessuno degli inquilini aveva le chiavi nuove. E per i primi giorni qualcuno è rimasto fuori tutta la notte. Nonostante l'insistenza del citofono. Ma credo che nessuno quelle notti rispose per paura di trovarsi i testimoni di Geova. Così tutti gli uomini del mio condominio decisero di tirare via la porta. Come soluzione di protesta ma anche di comodità. La morte della Signora Maria l'abbiamo vista in diretta. Perchè una mattina abbiamo sentito tanta confusione e così ci siamo affacciati alle finestre. Ancora potevo farlo, affacciarmi dico. Non avevo ancora messo le zanzariere fisse con chiodi e colla. Mi sono incuriosita dal trambusto e ho guardato fuori. C'era un'autoambulanza. E poi ho visto un corpo su una barella. E poi tutto sparire nella luce della nebbia. Da quel giorno nessuno ha più visto la Signora Maria. Nessuno l'ha più vista tornare. Io per scrupolo sono anche andata a suonare alla sua porta. Lei faceva la sarta. Così mi sono portata dietro un cappotto. Ho suonato più e più volte. Ma non mi ha aperto nessuno. Ma in quel momento ha spalancato la porta la Signora Mater Rumena che mi ha detto “E' meglio che tu non perda tempo con lei, lei cattiva donna, vuole sempre che io tiri via giochi di figli da corridoio”. La Signora Mater Rumena era nuova del palazzo. Ma mi aveva spaventato. Forse lei sapeva qualcosa della scomparsa misteriosa della Signora Maria? E perchè insisteva così tanto che io non suonassi più il suo campanello?




CAPITOLO DUE

Non ci confondiamo. Il mio condominio non è fatto di gente che si sta simpatica e si aiuta a vicenda. Non è come un condominio gentile. Come quello di mia sorella; il tipo di condominio dove tutti si conoscono, si piacciono e anche se non si piacciono si fanno i regali a natale e Pasqua. Si incontrano e si aiutano tra di loro. Si invitano a cena e fanno chiacchierate quando si incrociano sul pianerottolo. Le scale sono sempre pulite e l'immondizia viene lasciata in una stanzina chiusa, mai visibile, e viene scaricata ogni giorno. Nel condominio di mia sorella ci sono anche gli animali simpatici. Il gatto che gira per tutti gli appartamenti ed entra ed esce da tutte le case perché tutti lo amano. Si chiama Egon Pisellonio I.. Quando a vado da lui a sfamarlo, perchè è il gatto di mia sorella, tutti mi chiedono subito come sta, il gatto, cosa fa, cosa dice, ma mai cosa sente, perchè è sordo. Alle volte vado da Egon il gatto, solo per vedere il suo condominio, per sentire il profumo che viaggia per le scale, la cera che viene passata ogni mattina, la posta messa a posto in casette della posta intatte lucide bellissime. Nel mio condominio la mia cassetta della posta è rotta. Non si chiude e non si apre perchè mi hanno distrutto la piccola anta con il mio nome. Così ci ho messo un pezzo di skotch di carta con su scritto chi sono. Anche di fuori c'è sempre un pezzo di skotch di carta con scritto chi sono. Solo che se piove, non si legge più niente, se c'è vento si stacca, e se fa troppo caldo trasuda e cade. Oggi dopo un mese hanno rimesso la porta di ingresso. Siamo ancora rimasti chiusi fuori. Per fortuna nel mio condominio c'è anche un ristorante. Si riconosce dalla puzza che vola per le scale mattina giorno e notte, dal cuoco violento e dal proprietario che sembra uscito da un film di Al Capone. Per questo loro erano gli unici ad avere le chiavi del portone. Armata di coraggio sono entrata nel ristorante. Dalla porta centrale. Perchè la porta secondaria che coincide con la cucina si apre sulle scale del condominio. E la porta della cucina si incastra con quella dell'ingresso. Infatti quando la porta dell'ingresso non c'era era quasi meglio. Io non avevo paura che entrasse qualche persona sospetta perche secondo me le persone sospette erano tutte lì dentro. Comunque sono entrata dentro il Ristorante e ho parlato con il proprietario. Un occhio di sfiducia e poi me le ha lasciate. Mi ha fatto giurare su mia madre e ha preso il mio fidanzato in ostaggio in attesa che gliele riportassi. Ora ero l'unica del palazzo ad avere le chiavi in mano. Mi ha subito fermato l'ennesimo nuovo vicino di casa, entrata da una settimana proprio al mio piano. Si stava per mettere a piangere. Ti prego, mi ha supplicato, fammi fare una copia anche a me. Io gliele ho lasciate, ne avevo un'altra di riserva. Non potevo dire di no. Sua moglie, appena trasferita anche lei, di nome fa Maddalena Sacra Miracolata. E infatti è depressa. Il secondo giorno l'ho incontrata fuori dalla sua porta. Mi ha guardato e detto: “Come fai a vivere qui? Come fai?” Poi si è messa a piangere e a chiuso la porta. Mentre me lo diceva si guardava attorno. Attorno però non c'era più tutto il trambusto che avevo trovato io. Quindi si poteva già ritenere fortunata. Comunque gli ho lasciato le chiavi. Poi una volta che me le ha restituite ho fatto le copie e le ho lasciate nella cassetta delle poste di tutti. Avevo paura che poi qualcuno potesse spaccare la porta un'altra volta.

Appena sono arrivata qui, il mio fidanzato ancora non c'era. Lui si stava preparando per andare a vivere a Londra. Ed io ero felice perchè poi ci sarei andata anche io. Ma poi Londra era diventata Zurigo perchè lì c'era un amico che squotteva lussuosi appartamenti di svizzeri annoiati. E io ero un po' incerta ad andare a vivere lì. Ma ero contenta lo stesso. Poi l'amico del mio fidanzato lo ha chiamato da Zurigo e gli ha detto che avevano abbattuto proprio lo squot dove doveva andare lui. E allora il mio fidanzato, che viveva ancora al sud, lì dove prima vivevo io, mi ha chiamato e mi ha detto, allora vengo a Sesto San Giovanni anche io. Ricordo un attimo di sospensione e gelido silenzio. Ma poi ho detto ok e lui ha detto ok. Ho pensato però che a saperlo prima avrei scelto un letto più comodo e resistente. Un divano a tre posti. Forse avrei scelto un appartamento con una stanza in più. Un palazzo magari. Ma ormai ero qui. E lui presto sarebbe arrivato. Evviva.


Il mio fidanzato fa le sculture per le rotonde delle città. Lui realizza quelle sculture lì. Però per creare le sculture per le rotonde delle città serve trovare il materiale e il posto per lavorare su quel materiale e farlo diventare una scultura. E il posto per fare diventare quel materiale una scultura era diventata prima casa, poi il corridoio. E anche alla domanda “ma non servirà un magazzino per tenere il materiale che diventerà una scultura per le rotonde della città?” La risposta è si. Ma non sarà mai casa. E alla domanda, “perchè non sarà mai casa?” La risposta è, perchè una volta dopo che il mio fidanzato aveva costruito una incredibile scultura delicata e fragile, e l'aveva lasciata giacere proprio davanti al bagno, io per distrazione avevo fatto scivolare uno stendino proprio sulla sua scultura. Si era creato un momento di panico e terrore. Il panico e il terrore lo sentivo solo io. Lui emanava tutto questo. Tutto questo stava raggiungendo me. Per questo motivo avevo deciso che casa non avrebbe mai più potuto essere il contenitore di sculture per le rotonde delle città. Quel luogo sarebbe stato il corridoio.

CAPITOLO TRE

Qualche giorno dopo il mio arrivo, la mia prima vicina di casa, la signora albanesa, come l'avrebbe chiamata la mia seconda vicina di casa, mi suonò alla porta. Era una domenica. Ed erano le dodici. Aperta la porta con un bicchiere di vodka in mano disse: “Ciao tu sei vicina di casa nuova ben arrivata. Io volere invitare te a pranzo fuori ti va?”. Ora il pranzo fuori voleva dire sul corridoio. Infatti avevano trascinato la loro griglia da dentro casa loro, a fuori casa loro, sul corridoio. Avevano acceso il fuoco, con dei pezzi di legno, preso la carne, e aperto la porta finestra per cercare di fare uscire fuori il fumo che stava inondando tutto il palazzo. Infatti ad un certo punto l'altro vicino di casa, un serio uomo proveniente dalla Romania, che viveva in quella porta che si trovava proprio davanti alla mia, uscì con un estintore in mano. Il mio vicino di casa, il serio uomo proveniente dalla Romania, non parlava mai. E nemmeno quella volta. Uscì solo un attimo con l'estintore. Si guardò attorno. Notò la griglia gigante, la carne e il marito della mia vicina con una vodka in mano che fece il cenno di dire salute. Il serio uomo proveniente dalla Romania si concedette un lieve movimento con la testa, che secondo me in Romania e pure in Italia volevano dire “Per Dio” e si richiuse in casa. La mia vicina sorrise e mi versò un bel bicchiere di vodka. Era solo mezzogiorno. Io avevo voglia di cappuccino e briosche. Ma oramai avevo una vodka in mano. E iniziai a bere.
La mattina seguente sentì degli strani rumori. Provenivano proprio dal corridoio. Mi alzai dal letto, aprì la porta per vedere cosa stava accadendo. Trovai la mia vicina di casa che stava spostando tutti i mobili dal fondo del corridoio all'estremità, lì dove c'era la porta finestra, lì dove c'era la porta mia, lì dove c'erano i due stendini a terra e quello grande sospeso. “Ora tutto sembra meglio no?”
Meglio? Meglio? Ma come meglio … i mobili mi parevano triplicati, e ora, invece che essere posizionati lungo tutto il corridoio, si trovavano solo davanti alla mia porta, lì dove ci sono i due stendini, lì dove c'è la porta finestra! Lei continuava a spingere e ad ammassare i mobili e senza nemmeno guardarmi in faccia “tu crederai tutti mobili miei ma non è così. Sono mobili del Signore di sotto che dice se glieli custodisco”. Ma che significa? A me pare solo che il Signore di sotto invece che andarsi a buttare i mobili da solo, è venuto a portarli al piano di sopra. Che sai che fatica. E chiede alla mia vicina Albanesa di controllarli? Ma questo è anche il mio corridoio e io non ci sto mettendo nemmeno uno stendino, diamine! Ma ormai la mia vicina Albanesa aveva finito. Si era ritagliata lo spazio per le sue due piccole sedie. Così prese il suo tabacco e la solita vodka. Ma io ero troppo arrabbiata per stare a guardare. Rientrai in casa. E pensai ad una vendetta.

PRESENTAZIONE DELLA SIGNORA ALBANESA

Bè si mi chiamo Anna. Anna che si legge uguale da una parte e dall'altra. Anna se leggi da sinistra e da destra. Molto facile nome. Tutti si ricorda di me. Perchè sono anche bella donna. Ora un po' ingrassata io. Ma appena arrivata qui io così bella e felice e piena di lavoro, piana. In un locale e mi mettevo quella camicia bianca, bella stretta, che mi faceva le tette più belle. Tette sono belle anche adesso. Lo so. Ma prima appena arrivata in Italia, prima tutto meglio, mi divertivo mi piaceva italiano brava gente simpatici e tutto quanto. Lavoravo tanto, io facevo soldi, non dormivo mai, andavo a ballare poi alla discoteca con i miei amici quando finivo e anche mio marito veniva anche se meno che lui lavorava la mattina presto io la sera allora ci vedevamo poco. Ma forse meglio. Tutti mi conoscevano e mai la mia faccia sembrava stanca. Io bella magra e felice e ricca. Così abbiamo fatto la figlia. Natasa si chiama. Bella tanto bella. Cresciuta in fretta. Non ne volevo sapere di tornare a casa mia in Albania io amavo Italia e volevo mi figlia qui con scuole qui io non volevo tornare casa. Ma ora non so più. Vedrete se Italia non crolla vedrete. E io prima che crolla torna a casa. Stupidi italiani voi. Stupidi.

CAPITOLO QUATTRO

Dopo qualche mese arrivò il mio fidanzato. Io avevo deciso di aspettare lui per procedere a buttare via tutta quella roba. Di notte. Quando il sonno prende la coscienza degli uomini. Avevamo iniziato bene. Con l'armadio. Preso e buttato. Due sedie rotte. Prese e buttate. Era arrivata anche una grande e vecchia televisione. Presa e buttata. Il tavolino all'altro lato del corridoio. Preso e buttato. Sempre bene, quando all'improvviso il mio fidanzato si fermò come abitato da una illuminazione sconvolgente. Qui c'è tanto materiale, sussurrò … ma io ascoltavo, capivo, qui c'è tanto materiale che potrei usare per le mie sculture. Io da una parte ero felice dall'altra terrorizzata. Tutto ciò non avrebbe mai avuto fine. Io, che ho sempre buttato via tutto, io, che ho regalato tutti i miei libri ai bambini violenti di via della Pace a Macerata, io che non ho mai voluto conservare nemmeno i numeri di telefono, io, che me ne facevo ora di due cassettiere, uno specchio e forse chissà quale altro mobile ancora. Ma, ognuno ha il suo mestiere il suo destino il suo compito il suo insegnamento. Il mio compito al momento era di non rompere troppo le palle, stare zitta e contribuire alle sculture delle rotonde delle città.
Il giorno dopo quindi la cassettiera diventò una scultura. La scultura era così pesante che non si riusciva nemmeno ad alzare, figurarsi a trasportarla in una rotonda di una città qualsiasi. La cassettiera diventata scultura occupava molto spazio. Decidemmo di attaccarla al muro, così nell'attesa di decidere come sarebbe stata trasportata. Mi venne in mente che fuori sul corridoio c'era una scala, che apparteneva alla Signora Albanesa. La presi. La scala era mezza viva mezza morta. Il mio fidanzato decise di salirci lo stesso con l'opera in mano. Arrivato in cima, traballò per un po'. E poi cadde. Su di me. Insieme alla scultura. Insieme al mio fidanzato. Insieme alla scala. Quello fu il mio primo incidente milanese. Il mio primo trauma cranico. Il mio primo incontro al Pronto Soccorso di Sesto San Giovanni. Ma quello, sarebbe stato solo l'inizio.

Passarono i primi mesi. Il corridoio ora si stava svuotando di mobili, ma riempiendo di sculture per le rotonde delle città. Sempre presente la scarpiera, la griglia, le due sedie, gli stendini a terra e quello sospeso. Avevo iniziato a parlare con la mia vicina nuova, Anna. Iniziato ad ascoltarla. Mi raccontò che era molto infelice. Che in Italia non la voleva nessuno, che il lavoro non c'era, che il proprietario di casa era un animale e che per questo lei non pagava più il suo affitto da mesi. L'Italia fa schifo, mi diceva. E in realtà lo pensavo anche io. Ma il suo odio non faceva che aumentare il mio. Così un giorno pensai di cambiare stratagemma. Non dovevo nemmeno bussare alla porta perchè lei passava tutto il giorno davanti alla mia di porta, vicino ai due stendini a terra quello sospeso e la porta finestra. Le dissi che in Italia c'erano tante cose buone: “Tieni, ti presto (e sottolineo presto) il cd completo dell'opera di Verdi, così te la ascolti e magari ti senti meglio”. Rispose “Ok”. Forse non era sufficiente. Dovevo andare più a fondo. Mi venne l'idea. Il giorno dopo mi avvicinai e dissi :”Tieni, ti presto (presto) questo libro su come avverare tutti i tuoi sogni. E' un libro prezioso per me, dopo che lo hai finito di leggere me lo ridai” e lei “Ok. Ma prima devo vedere se mi piace. Ora apro pagina 43. Se a pagina 43 leggo solo stronzate, non lo voglio. Ma se mi piace, ok”. Ok, mi dice ok, ma solo se le piace. Va bè. Aspetto. La pagina 43 diceva che le poteva piacere. Chiuse il libro. E disse ancora “ok”. Un altro giorno ancora le regalai un paio di orecchini. Lei rispose “Ok, ok ok”. Forse in Albania “Ok” significa grazie. Forse non era necessario che me lo dicesse. Forse. Solo che dopo qualche giorno sparì. Sparì lei il marito e la figlia. Sparì il mio cd, il mio libro e lasciarono lì la scala rotta.
Non amo parlare molto del mio lavoro. Sono una donna di circa 40 anni. E sono tornata nella mia città dopo un lungo viaggiare. La prima cosa che noti quando torni a casa è che ti senti un po' un estraneo. Se poi torni e non hai ancora un lavoro, si aggiunge alla definizione del tuo stato d'esistenza, quello di emarginato dal mondo del “capitale che produce” e l'unica cosa che riesci a far fruttare tu, è solo frustrazione e insofferenza. Puoi anche voltarti indietro e ricordarti i motivi per i quali hai deciso di andare via di nuovo, un'altra volta. E se te li ricordi il presente riesci a sopportarlo meglio.
Quando ritorni a casa tutti sono lì e si aspettano che tu faccia qualcosa. Sopratutto tu, da te stesso, ti aspetti di farlo questo qualcosa.
Mi allargo gli orizzonti per curiosare negli spazi della vita che ancora non ho sperimentato e vissuto. In ogni anglo ci sarà qualcosa per me, una sorpresa., un regalo un dono che posso scoprire con eleganza. Ma l'eleganza quando la percezione diventa confusa si perde in altri occhi. La vita in mezzo agli è complicata. La vita tra te e te è complicata. C'è un metro di giudizio sopra a tutti che è il tuo, forse il più spietato di tutti.
Ma Dio mio in tutta questa confusione, posso ancora ritrovare il mio centro? E dove sta?
Se uno si perde facilmente, la strada poi la riesce a trovare più spesso.
A passi di danza.

CAPITOLO CINQUE

La Signora Albanese non c'era più. Un po' mi dispiaceva un po' no. Ma ero elettrizzata. Questa mattina potrò aprire la porta di casa mia e vedere solo la porta finestra senza stendini senza sedie senza niente di niente. Ero felice. Mi sono fatta la doccia. Profumata e vestita. Ho aperto la porta, finalmente, ora guardo fuori e, oddio, oddio no, no. Non è possibile. Ma cosa ci fanno ancora gli stendini? E invece che due a terra ora sono tre? E quello sospeso ora è enorme! Ma che succede? Sono corsa alla porta della mia ex vicina. Ho suonato e risuonato. Silenzio. Sì, sono certa lei è partita e se ne è andata via. Ma allora qualcosa non torna. Se lei non c'è più, di chi sono tutti quegli stendini messi lì fuori proprio davanti alla mia porta? Non faccio in tempo a trovare una risposta che vedo comparire dal fondo del corridoio un uomo che fuma una sigaretta, in mutande. Mi fa un cenno con la testa. Voleva dire 'giorno. Si avvicina a me mi passa davanti, l'uomo in mutande. E inizia a toccare i vestiti appesi. Butta la sigaretta fuori dalla porta finestra e se ne va. Tre secondi dopo arriva un reggimento di donne. Due bambine piccole, una media, una giovane e una meno giovane. La Mater Rumena. Tutte davanti a me, a svuotare tutti i loro stendini. Ma questo è un incubo.... La Mater Rumena e le sue sorelle ritornano al loro piano, quello di sotto e nemmeno mi danno un cenno di saluto. Io non mi voglio nemmeno calmare. Vado giù di sotto e suono una porta qualsiasi. L'ho fatto. E dietro la porta c'era una donna. Mi guarda. La guardo. Le dico “Sono suoi tutti quegli stendini là sopra?” E lei “Si … si perchè?” E io “Ma perchè non stendete qui sotto o anche dentro casa vostra? Io mica stendo fuori” E non vengo nemmeno qui sotto con il mio stendino” E lei un po' confusa inizia a dire quelle tre parole e poi inizia a piangere “Io io noi, come fare noi? Noi appena arrivati da Romania, noi tanti, tanti calzini, tanti pantaloni, casa piccola, noi noi ….” e dopo non si capisce più niente tanto pare contratta dal dolore. Io mi sento in colpa. Mi sento male. Le dico che non si deve preoccupare che va bene così che è tutto a posto. Magari imparo a fare una torta e gliela regalo domani. Torno a casa. Il mio fidanzato mi ascolta e si mette a ridere. Io sono affranta. Ma poco dopo qualcuno bussa alla porta. Chi sarà … penso. Il mio fidanzato apre la porta e mi dice che è per me. Mi avvicino e vedo davanti a me una gran signora massiccia con lo sguardo scuro a braccia conserte. La Mater Rumena. Silenzio. Silenzio. Fino a che dice “Tu hai qualche problema con stendino?” E io anche un po' preoccupata e col pensiero interiore col cavolo che imparo a fare una torta per te, rispondo “No … no … tutto ok...”. Lei inizia a muovere le mani e dice “Tu puoi stendere anche tu qui fuori no? Noi tanti siamo tanti sai, noi presi appartamenti qui sotto tutti nostri e sotto non spazio per stendere” Io rimango in silenzio ma lei continua “Qui tutti cattivi con noi, io non capire, io solo stendere e basta. Noi preso tutti appartamenti a parte uno che c'è una signora vecchia cattiva che parla sempre male di noi” E io zitta “Solo perchè lasciamo bici figlie davanti mia porta che è mia porta mica sua” Io sempre zitta pensando che magari faccio una torta avvelenata, lei ancora non stanca dice “Noi volere stare bene noi non dare fastidio se tu qualche problema dire adesso o mai più”. Oddio. Non potevo fare altro che dire “Ok”. Lei ha risposto “Ok” e se ne è andata di sotto. Sono tornata dentro casa e il mio fidanzato continuava a ridere. Io volevo solo andare di sotto con tutti quegli stendini e stracciare torciere tagliare tutti i panni loro e lasciarli davanti alla loro porta come segno di sfida. Ma non l'ho fatto. Lì al piano di sotto c'era una anziana signora che magari poi si sarebbe spaventata. E sopratutto loro avevano mariti alti e massicci. Meglio è starsene a casa tranquilli. Meno male che sono fidanzata.

CAPITOLO SEI

La Signora Maria, la sartina che vive al primo piano, è davvero una sartina. Fa la sarta da quando ha dieci anni, e non è mai ingrassata un etto da quando ha dieci anni. Me lo ha detto lei. Si è sposato una volta sola, e il suo compagno è morto dopo pochi anni. Mi ha raccontato che il suo marito defunto, proprio una settimana prima delle nozze, era stato ferito ad una gamba, da una bomba! Una bomba! Lei aveva paura per la sua vita, lui aveva paura per il suo pisello. Aveva paura che non potesse più rendersi vivace e riproduttivo. Ma la convalescenza durò veramente poco. E infatti dopo poche settimane si sposarono, dopo pochi mesi arrivò un bel bambino e dopo pochi anni la morte. Ma la Signora Maria non aveva paura di rimanere sola e con un figlio. E non appena il figlio trovò la sua strada, quella di direttore generale della Coca Cola, lei si sentì sollevata. Mi confesso anche che non aveva nessuna intenzione di rimettere su famiglia con un altro uomo. Per carità, mi aveva detto. Già ne è bastato uno. E voglio mangiare solo la pasta al pomodoro, solo quella lunga, e mi piacciono solo le cotolette, ma ancora di più il giorno dopo, quindi falle oggi per mangiarle domani, e non voglio che tu lavori, la donna non deve avere l'ultima parola, etc.... Nonostante il suo amore per il marito, infatti aveva una sua foto in bianco e nero dentro una grande cornice, la Signora Maria era molto felice ora. La sua vita, il suo cibo la sua libertà.
Io ci andavo di rado. Perchè la Signora Maria era anche molto cara, come tutte le sarte. Ma ci andavo perchè mi pareva l'unica donna sensata in tutto il mio condominio.


CAPITOLO SETTE

Una mattina sono rimasta incastrata tra la porta del mio condominio e quella della cucina. Non riuscivo a liberarmi. Pensavo di mettermi a gridare ma poi ho deciso che avrei fatto una telefonata al mio fidanzato che ero certa si trovasse a casa perchè stava lavorando ad un'altra scultura per un'altra rotonda. Lui è sceso di corsa e mi ha liberata. Per vendetta ho sbattuto con violenza la porta, quella della cucina, pensando di carcerare a vita il cuoco dentro la sua cucina. Forse sarebbero morti solo gli scarafaggi e non lui. Infatti lui, il cuoco, dopo pochi secondi aprì violentemente la porta e lanciò una bestemmia. Io non ci ho pensato nemmeno un attimo. Mi sono messa a correre e sono arrivata senza fiato a casa. La sera stessa di ritorno dalla mia ripetizione di inglese, saranno state le otto, apro la porta del mio condominio e mi accorgo che è rotta, e anche che l'interruttore della luce generale non funzionava più. Prendo l'accendino, meno male che ancora non ho smesso di fumare, e faccio tutte le scale, illuminando sopratutto a terra, per paura di essere attaccata da qualche scarafaggio nero, perchè quelli marroni preferiscono il corridoio. Non faccio in tempo ad aprire la porta di casa che sento alle spalle la presenza di qualcuno. La Mater Rumena. Con una torcia in mano e un cesto pieno di vestiti bagnati. Mi dice se mi fossi accorta del portone e della luce, e io rispondo di sì, e lei con gran fermento “Tu conosci cuoco di sotto, cattivo uomo, io lo so cattivo, io non so perchè qui tutti contro di noi, bè lui ha litigato con mio figlio, mio figlio bravo non uccide nemmeno mosca, lui cuoco invece sì, e così cuoco preso da ira ha tirato un pugno a mio figlio, ma lui si è spostato e sbattuto contro portone, mentre pugno di cuoco andato diritto su luce.” Io rimango un attimo interdetta. Sopratutto non riuscivo a capire il possibile motivo del litigio tra il figlio della Mater Rumena e il cuoco violento. Ho provato e ho chiesto una spiegazione, che è stata “Qui tutti matti, tutti matti, dove vivevo prima tutti ci volevamo bene”. Io la ascolto. Aspetto che finisca di stendere per rispetto e poi me ne torno a casa. Chissà perchè tutti quelli che ho conosciuto e sono venuti a vivere qui, dicono la stessa cosa. Anche la Signora Albanesa (come l'aveva soprannominata la Mater Rumena. Erano diventate amiche prima che la Signora Albanesa traslocasse. E la Mater Rumena mi aveva detto che era stata la Signora Albanesa a dirle che poteva stendere qui al mio pianerottolo, le aveva altresì regalato due stendini a terra. Quello sospeso era stato sostituito con un altro perchè la Mater Rumena aveva paura di poca igiene, al chè, ho pensato, poteva anche cambiare gli atri due, ma non ho detto niente.) diceva la stessa cosa. Io non l'ho mai detto né pensato né vissuto. La vita dentro il condominio è stata per me sempre difficile. Come quella volta in cui mi erano entrati i topi in casa. Avevo appena traslocato. La casa era completamente vuota. C'era solo il letto le mie valigie e delle strane cacce, che a giudicare dalle forme, sembrava appartenessero alla razza del topo gigante. Ho cercato di avvertire tutti i signori e signore che vivevano lì. E invece che essere tutti uniti contro la cacca del nemico, la grand giurì aveva nominato per elezione straordinaria un consigliere donna, che era venuta a bussarmi violentemente alla porta, dicendomi che i topi li avevo portati io, magari dentro le valigie, se mai ci fossero stati veramente,. Meno male che poi i topi, abili scalatori, sono riusciti a raggiungere la casa della signora consigliera, e cosparsa di cacca anche la sua casa, decise di chiamare con urgenza la disinfestazione. Ricordo anche un altro esempio di felicità condominiale. Quando in un'altra casa ancora, la Signora del piano di sotto, che passava il tempo a urlare dietro su figlia Mariaaaa, aveva un giorno suonato a casa e nelle mani teneva una prolunga che andava dal suo primo piano al mio secondo. Mi chiedeva se poteva attaccarsi alla mia corrente. Almeno giusto il tempo di fare una lavatrice. Insomma. Io non ho mai trovato persone felici e serene dentro un condominio. Felici e serene e che mi amassero alla follia. A quanto ne so ora, posso dire quindi, che è capitato alla Signora Albanesa, Alla Mater Rumena e a Egon Pisellonio I, il gatto di mia sorella.

CAPITOLO OTTO

Dentro il mio condominio vive anche uno strano uomo di nome Chen. Non so se si chiama così davvero. Chen lo chiamo io e il mio fidanzato, mia sorella e il fidanzato di mia sorella, mia madre, la mia amica Enza e il suo fidanzato. Ma solo io e il mio fidanzato abbiamo visto Chen davvero.
Una mattina io e il mio fidanzato dovevamo costruire una cassa di imballaggio per la sua scultura per la rotonde della città. Ma non la scutura che era appesa al muro. Perchè quella non riuscivamo più a spostarla. Un'altra ancora. Molto lunga. Molto estesa. Molto alta. Molto delicata. Ma per lo meno, molto leggera. La cassa da imballaggio sarebbe stata molto lunga, molto alta, molto estesa e molto, ma molto pesante. Era luglio. Faceva caldo. Noi eravamo nel cortile condominiale. In relatà il cortile condominiale non era proprio di uso comune. Perchè era tutto di prorprietà del padrone del ristorante. Ed era opportuno chiedere un permesso speciale a quell'uomo. Così andai a parlargli. Entrai dentro il suo ristorante, dalla porta centrale, e dopo avere parlato con una decina di camerieri e assistenti, finalemente comparve Lui. Mi guardò. Silenzioso. Io inizia a dire, oh che bel ristorante, oh che buon profumo, oh, che possiamo costruire una cassa di imballaggio dentro il suo cortile senza disturbare troppo, che nell'arco di due tre ora finiamo e tutto torna come prima? Lui rispose solo con un cenno di capo. Che voleva dire, sì. E iniziammo a lavorare. Assi di legno laterali, frontali, la base, il coperchio, chiodi su chiodi, sole e sudore, sole e sofferenza, sole e Chen. Arrivò mentre stavamo cercando di trapanare una vita irriverente. Lui ci guardò un momento poi entrò in una stanzina ripostiglio e riapparve con una manciata di viti di alta generazione e una bottiglietta di olio specifico per scorrimento vite dentro buco. “Tu fatto capolavoro” disse Chen al mio fidanzato. Il mio fidanzato sorrise, era felice. E anche io. Chen, mentre cercavamo di trapanare e mettere assi su assi, ci raccontò che veniva dalle Isole Mauritius, che non ne poteva più di stare in una città come Sesto San Giovanni e che non vedeva l'ora di tornarsene a casa sua. Chen lavorava come tutto fare nella palestra in fondo al cortile. E stava creando un piccolo orto zen proprio nel piccolo pezzo di verde che ancora viveva nel cortile del condominio. C'erano piccoli corridoio di acqua che scorrevano lungo la terra, che giorno dopo giorno ritornava ad essere viva. E lui mentre ci parlava faceva piccole buche e piantava e pregava per il suo giardino. Chen ci salutò verso le due del pomeriggio. Noi eravamo ancora lì. Finimmo circa verso le sette di sera. Noi eravamo distrutti. La cassa era enorme pesante un blocco che sembrava cemento quasi difficile da spostare. Arrivò la notte. Io e il mio fidanzato stavamo tornando a casa. Ci fermammo un attimo a contemplare la “massa specifica monumento” quando ci accorgemmo che c'era una figura strana, oscura. Era buio. E lì, c'era Chen. Era venuto di corsa perchè si era accorto che stava per piovere. Così da casa si era portato un telo di plastica. Aveva spostato il macigno da solo e l'avevo pure coperto. Chen il magnifico. Chen il Salvatore. Chen il nostro nuovo amico di condominio. Peccato che non viveva lì.
Dopo tre mesi appena, il giardino zen di Chen era diventato una foresta amazzonica. Forse speranza per il nostro condominio c'era ancora!

CAPITOLO NOVE

Mi sembra di avere sentito dei passi strani. Dei rumori. No, non sono passi, è qualcuno che urla, mio Dio, urla veramente.” Ero a letto ma quelle urla mi fecero svegliare. Non riuscivo a capire. Intanto, da dove arrivano queste urla? Sembrano così vicine..., dovrò chiamare la polizia? Solo dopo qualche minuto mi resi conto che quelle urla erano ululati di piacere. Mi aveva confuso la voce di lei, molto acuta, quasi sofferente, ma ad alcune parole tipo “dimmi che sono la tua zoccola” avevo capito che lei non stava soffrendo per niente. E l'ultima conferma la ottenni quando dopo un attimo di silenzio arrivò anche la sua voce con un breve ma intenso e cupo “ah”. Quell'”ah”, era segnale che la coppia aveva terminato la fatica d'amore. Infatti quando mi è ricapitato di sentirli, specie la domenica mattina, so con esattezza quando l'atto è concluso. Il mio fidanzato ancora si confonde. Ma io gli dico di non farsi confondere dal finto silenzio che la fine ancora non è arrivata. E infatti è sempre così. La fine coincide con il suo Ah. Comunque la prima volta che sentì questo trambusto ero sola. E quella notte mi si era spezzato un capillare proprio sotto l'occhio. Sembrava mi avessero dato un pugno. Ma non ero tanto preoccupata per il mio occhio, ma per quelle voci. Fino a quando non mi fu chiara l'origine ludico sessuale dell'evento. Quando uscì da casa mia, c'era fuori la Signora Albanesa. Mi guardo mi indicò l'occhio poi si avvicinò mi diede una pacca solidale sulla spalla, mi fece l'occhiolino e disse, beata te cara! Beata me? Oddio ma io non ho fatto niente, le dissi. E se ne convinse quando dalla porta proprio davanti alla mia usci Il Silenzioso Signore Rumeno. Usci insieme ad una giovinetta che rideva tutta eccitata tutta elettrizzata e mai guardando in direzione nostri occhi, ma sempre a terra. Se ne andarono velocemente senza salutare. La Signora Albanesa disse con complicità “Hai capito il Rumeno...”
Ecco il Signore Rumeno venne arrestato due settimane dopo per motivi ignoti. Mi è dispiaciuto un po'. Ero solo terrorizzata di scoprire chi venisse a vivere davanti alla mia porta.

Maddalena Sacra Miracolata prese il posto del Signore Rumeno. Lei insieme al marito. Lui calabrese lei non l'ho mai saputo perchè parlava poco e quando parlava piangeva. Ogni volta che la incontravo davanti alla porta lungo il corridoio, mi parlava di quanto fosse bello il palazzo nel quale viveva prima di questo. Luminoso, sempre pulito, l'aria sapeva di sano. In realtà anche sul nostro corridoio l'aria è sa di lindo, data la presenza del gran numero di stendini e biancheria stesi per tutto il giorno. Appena apri la porta del condominio la prima cosa che senti è l'odore di fritto che invade vestiti capelli e naso. Poi superato il primo ostacolo, fai le scale, ancora per un po' ti rimane attaccato addosso quell'odore, ma ce la fai, sei arrivato quasi alla seconda rampa di scale, puoi superare il terzo ostacolo, sorvolare gli scarafaggi e non calpestarli (credo sia paura che si potrebbero riprodurre all'istante come in un film horror, per questo ho deciso di non schiacciarli, ma di affogarli nella polvere velenosa Baigon tre in uno, così nello stesso istante la scala si igienizza e si evita qualsiasi riproduzione) e arrivare quindi al terzo piano, andare oltre la porta che separa tutto il condominio dal lungo corridoio e lasciarti cullare in quell'odore di appena uscito dalla lavatrice.
Quindi su questo punto non potevo trovarmi in accordo con Maddalena Sacra Miracolata.
Le occasioni di vederla erano rare. Lei compariva poco. Era però diventata un po' più coraggiosa, infatti si era decisa a mettere fuori dalla sua porta, quindi proprio in fronte la mia, il suo stendino, la scopa e un cesto pieno di mollette. E' vero, lei non stendeva tanto come tutto il resto della famiglia condominiale. Il suo stendino personale era quasi sempre vuoto. Ma almeno quel paio di pantaloni e due mutande davano conferma del suo essere lievemente felice e in linea con le abitudini condominiali. Io in realtà all'inizio non stendevo fuori. Non perchè ci tenessi a mostrare la mia diversità dal resto del popolo, ma perchè il mio spazio lungo il corridoio era occupato dal materiale delle sculture delle rotonde della città. Solo quando il materiale diminuiva, uno stendino fuori ce lo mettevo. Mai steso mutande però. Maddalena Sacra Miracolata le mutande, anche se poche le stendeva. Il suo compagno era alto un metro e cinquanta. Più basso di me. E robusto. Cercava di fare il simpatico ma non ci riusciva per niente. Un pomeriggio quando Maddalena Sacra Miracolata era fuori chissà dovi mi aveva chiesto di entrare dentro casa sua a vedere in quali condizioni era costretto a vivere. Mi aveva mostrato le pareti nere per l'umidità, le crepe ai lati del bagno e le persiane rotte. Bè non mi pareva una tragedia. Doveva vedere la parete di casa mia. Doveva. Comunque Maddalena e il marito si vedevano poco in giro. Lui si sentiva sopratutto la notte. Chissà che lavoro faceva. Chissà da dove tornava. Ma sopratutto, chissà se era felice di tornare.

CAPITOLO DIECI

Una notte mentre io e il mio fidanzato stavamo per andare a dormire, abbiamo sentito qualcuno strillare e sbattere una porta. Questa volta non potevo confondermi. Non era rumore di sesso quello che stavamo sentendo. Ma qualcosa di più brutale. Cosa ci può essere più brutale del sesso? Qualcuno che con una bottiglia di birra in mano cerca di distruggere la porta di casa sua. Utilizzando prima i calci poi la voce in termini di bestemmie straniere. Sono sicura che erano parole violente, contro qualcosa di più grande, di potente, qualcuno a cui dare la colpa se esci di casa e ti dimentichi le chiavi dentro, ed è notte. Le urla diventavano più forti. E anche i rumori. Infatti ad un certo punto dopo un attimo di silenzio, i calci non si sentivano più, ma si poteva riconoscere quello di una specie di motosega elettrica. Io ero un po' preoccupata. Ad un certo punto avrei anche voluto aprire la porta e vedere, uno: chi fosse rimasto fuori casa, due: cosa stava usando per sfasciare la porta, tre: e se fosse stato un ladro?, quattro: e se fosse stato il maniaco della motosega protagonista della dodicesima puntata di CSI? No, non ho aperto quella porta. Sono rimasta passiva ad ascoltare l'aumento di rumore e di distruzione fuori casa mia. Forse i vicini si dovrebbero aiutare sempre. Ma io avevo anche un certo timore di alcuni miei vicini. E di questo qui ancora di più. E poi se non fosse riuscito ad aprire la porta dove lo avrei messo a dormire? Insieme a me e al mio fidanzato? Non sono riuscita a fare niente. Dopo un po', nemmeno a tenere gli occhi aperti. E mi sono addormentata. La mattina dopo facendo due passi qua e là per il condominio mi sono accorta di una porta distrutta. C'era legno dappertutto. E un buco gigante sulla ex porta. L'uomo, l'abitante di quella casa, non mi è mai piaciuto. La sua abitazione è collocata prima della grande porta che dà sul corridoio. Anche lui come il Signore Rumeno sta sempre zitto. E ogni volta che mi capita di incrociarlo per le scale non si ferma mai per farmi passare, non mi saluta neppure e se può mi spinge anche. E' alto, molto alto. Scuro di capelli. Degli occhi so poco. Non sono riuscita mai a vederli. La sua porta era uguale a tutte le altre porte del condominio. Vecchia vacillante di legno. Nonostante questo ha dovuto usare una motosega elettrice per abbatterla. A volte dici, le cose di una volta. Dopo poche ore la sua vecchia porta era scomparsa. Ne era arrivata una nuova. Di quelle composte da cinque serrature e i manici d'oro. Ora lui ha la porta più bella di tutto il condominio. A dirla tutta, la sua porta è più bella del condominio stesso.

CAPITOLO UNDICI

Certi giorni mi manca la mia amica Albanesa. Almeno lei non piangeva ogni volta che apriva la porta di casa. Certo fumava tabacco insostenibile, aveva preso il dominio di tutto il corridoio, parlava male di tutti, ma mi aveva dato dei gran consigli su come tenere vivo l'amore. Lei aveva conosciuto il suo “uomo” in Albania. E si erano piaciuti subito. Solo che all'inizio lui, così mi raccontava lei, beveva senza ritegno. Ma senza mai diventare violento. Intanto beveva solo vodka. E la vodka non rende mai violenti, mi diceva lei. Piuttosto un po' dementi. “Lui beveva e poi non riusciva stare in piedi capisci? E continuava a dirmi amore mio come sei bella io ti sposo anche se eravamo già sposati capisci? Un po' scemo capisci?”. Mi confessò che l'uomo scemo non lo poteva reggere. Così aveva iniziato una terapia d'urto. Ogni volta che lui aveva un appuntamento con gli amici al bar, lei si comprava un reggiseno nuovo o un paio di slip super aderenti di pizzo. Si metteva davanti alla porta e gli sussurrava nell'orecchio frasi calde che gli facevano dimenticare di avere un appuntamento al bar. Certo, che lavorone. Sopratutto che costanza nel mantenere sempre vivo il desiderio. Tutti i giorni, estate e inverno, mettersi davanti alla porta in mutande e reggiseno e inventarsi frasi piccanti, invertire la marcia di direzione del tuo compagno, richiede una costanza e una determinazione particolare. Anche una costanza di aver sempre voglia di fare l'amore. Anche quando hai le mestruazioni. Anche se ti viene una colica. Anche quando vorresti solo mettere davanti alla tv a vedere un film con Brad Pitt. “Da noi la donna è proprio donna sai?”. Altro che. Ora però davanti alla porta finestra non c'era solo lui che beveva la vodka, ma anche lei. Quindi qualcosa non tornava. Ma la cosa che non tornava era la mancanza di lavoro, non di amore. E loro cercavano di sopravvivere come potevano. E secondo me facevano bene. Un po' meno bene quando hanno preso un cane a casa loro. Un cucciolo di lupo. “E' il cane di mio fratello sai, lui dice che moglie non lo vuole, o lei o il cane ha detto, così per un po' lo teniamo noi, ma poi se ne va”. In quelle settimane in cui il cucciolo di cane lupo sostava lungo il corridoio, si sentiva, più che odore di detersivo e tabacco, un'essenza odorosa che era pipì di cane lupo su corridoio, pipì di cane lupo su stendino, pipì di cane lupo davanti alla porta di casa, e se il cucciolo riesce ad entrare dentro casa, pipì di cane lupo su tappeto ikea da buttare e chi se lo compra più. Dopo poche settimane anche il cucciolo sparì. Forse la moglie di suo fratello si era trasferita da un'altra parte.

CAPITOLO DODICI

Sono le ore dieci del mattino. Suona la porta di casa. E' la Signora Mater Rumena. Mi dice se mi dispiace se anche l'altra sua figlia porta su al mio piano il suo stendino. Io non faccio in tempo a dire niente che vedo già la figlia, quella che vive nella porta davanti all'uomo con la porta nuova, quindi di fianco alla porta che conduce al corridoio, vedo la figlia dicevo, con il suo stendino in mano. Lo apre e lo piazza a terra. Anche il suo è uno stendino da terra. Quello sospeso è privilegio solo della Mater Rumena ora, e della Singora Albanesa prima. Mi dice la Mater Rumena che avrebbe messo anche il suo stendino davanti alla porta di casa mia, lì dove c'è lo stendino di Maddalena. Io le dico che se anche lo stendino di Maddalena è quasi sempre vuoto, è pure sempre uno stendino funzionale. E che non mi sembrerebbe giusto farlo sparire così. Lei poco convinta mi dice ok. Ma poi continua. Mi dice nell'orecchio “Ma tu credi che loro vivono ancora qui? Perchè mi pare che non li sento più?” E io penso, ma come fa a saperlo lei, che vive due piani sotto a me? Allora le dico “Ma perchè lo vuoi sapere?”. E lei mi dice che suo figlio, quello che ha litigato con il cuoco, ha bisogno dei suoi spazi e che se l'appartamento si libera, di farglielo subito sapere, che dentro ci mette il ragazzo. “E se entra anche lui, qui ci possiamo mettere il suo stendino personale dispiace?”. Ora io l'ho lasciata parlare senza aggiungere altro alla conversazione. Non ho nemmeno cercato la figlia con lo stendino nuovo (che poi tutti gli stendini presenti lungo il corridoio, a parte quello sospeso, sono identici, anche il mio è così, bianco e blu, comprato dai cinesi in via Casiraghi, avevano fatto la svendita qualche mese fa e qui da noi la notizia è girata di bocca in bocca e di casa in casa). Sono stata zitta. Soltanto una cosa però. Due giorni dopo lo stendino di Maddalena era vuoto. Ed rimasto vuoto per giorni e giorni. Qualcosa stava accadendo. Qualcosa di pericoloso.

CAPITOLO TREDICI

Sono tornata al pronto soccorso per la seconda volta. Tra tutte le cose che mi potevano venire, il mio corpo ha deciso per la lettera A come ascesso sulla lettera C come chiappa D come destra. All'inizio non avevo dato molto peso alla cosa. Ma poi una notte il dolore era diventato insopportabile, e quell'essere si stava ingrandendo in modo minaccioso. Sono corsa, per quanto potessi correre a farmi vedere, sperando in una dose massiccia di antidolorifico per vena, di quelli che ti fanno vedere il mondo intorno a te senza più stendini. Ma prima di arrivare a quel momento c'era tutta la fila da superare. Una fila lunga. Ma io avevo capito che per passare davanti a tutti e aggiudicarti il bollettino, almeno verde, che ti permette di essere in cima alla fila, dovevi manifestare tutto il tuo dolore potenziato del 25 per cento. Meno male che avevo studiato il metodo Strasberg con la famosa Greta Seacat. Un seminario molto intenso. Non si faceva altro che piangere e andare in stati di profondo choc emotivo. Io avevo scoperto un sacco di traumi e segreti mai arrivati alla mia coscienza, ma chiusi e serrati dentro il mio inconscio. Due settimane di lavoro finalizzato a trovare le emozioni vere, il dolore reale, mai rappresentato ma vissuto. Come rievocare il dolore della Signorina Julia se tu non sei mai stata contessa, non ti hanno mai ammazzato un canarino, non sei mai andata a letto con il tuo servitore e sopratutto non hai mai provato a suicidarti? Ma l'inconscio conosce quel dolore. Te lo fa emergere così che tu puoi viverlo per davvero. Soltanto che quando sono andata a fare dei provini utilizzando quel metodo, mi capitava di non riuscire ad adattarlo con la giusta forza. Come immedesimarmi in una donna che sta cercando di tirare via le macchie da un vestito nuovo? Se andassi a fare ora un provino come quello, il mio inconscio mi mostrerebbe la lunga fila di stendini fuori la mia porta. E la mia immedesimazione sarebbe perfetta. Ma ormai è tardi. Ora posso solo usare il mio dolore vero per passare davanti a tutti. Urlando e piangendo.

GUIDA PRATICA ALLA SOPRAVVIVENZA DA PRONTO SOCCORSO

Ci sono quattro bollini, bianco verde giallo e rosso, anche se io per logica avrei messo prima il verde e poi il giallo, i colori sono questi intesi come ordine di gravità della malattia, che viene giudicata in base a se sei arrivato con un autoambulanza, se perdi sangue dalla testa, se arrivi senza mano o se piangi e urli disperato, ma su questo ultimo punto non è sempre detto che il tuo cosa sia da ritenere così urgente da essere inserito in cima alla lista, che viene elaborata dai dottore che nessuno vede che stanno al di là della porta della reception, mentre lì alla reception di solito trovi un giovane infermiere o infermiera che stanno cercando di finire le parole crociate e non hanno voglia di sentire o vedere te che strilli, e te che strilli devi sperare che quel tizio o tizia siano davvero lì a farle le parole crociate, se no, come spesso accade, cerchi di capire come si fa a richiamare l'attenzione di qualcuno senza urlare, e allora ti accorgi dell'esistenza di un campanello piccolo verde con su scritto “suonare” allora tu suoni e compare sempre quel tizio con la penna in mano, penna che serve solo per scrivere Abelardo, perchè il sette verticale richiedeva il nome dell'amante di Eloisa, e se tu non ti chiami né Abelardo né Eloisa, devi fare la doppia fatica di farti notare e fare lo spelling del tuo vero nome, dopo di che, a loro descrizione aspetti di superare la porta che separa te dalla felicità (antidolorifico a vena), e quindi non puoi fare altro che aspettare, infatti anche se risuoni e chiedi di essere accolto, il tizio o tizia delle parole crociate ti chiedono se conosci il nome dell'autore di Lady Macbeth, e a te non ti viene nemmeno in mente di dire che lo conosci perchè poi saresti costretto a dire loro anche come si scrive e in quel momento non ne sei davvero certo se prima arriva la s o la h o la c, poi mentre sembra che sta per arrivare il tuo turno perchè qualcuno ha lanciato la spugna, arriva all'improvviso l'autoambulanza con la solita vecchietta di turno, e ti passa avanti, e poi ancora un'altra con il vecchietto che non respira, e un'altra ancora con il ragazzo svenuto all'improvviso e tu che rimani a guardare e ti viene ancora più da piangere, il che è un bene perchè magari qualcuno ti nota ed entri prima di loro, ma è difficile, e infine quando è arrivato il tuo turno dopo un tempo che và dalle sei alle tredici ore, ed entri dentro, ti devi ricordare che devi assolutamente trovare il modo di tramutare il tuo bollino bianco in verde, così almeno da non pagare anche quell'attesa, e mentre cercano di trovare la tua vena, in tentativi approssimativi, inizi piano piano a rilassarti perchè sai che a breve tutto il dolore sparirà e inizierai a volere bene al mondo intero, a tutti gli infermieri del pronto soccorso e in un istante di caritatevole bontà rivelerai quel nome, Shakespeare.

CAPITOLO QUATTORDICI

La casa della signora Albanesa è stata ora occupata da una numerosa famiglia. Padre, madre, sorella della madre, tre figli e la figlia della sorella della madre. Loro vengono dalle Filippine e hanno sempre il sorriso sulle labbra. Anche se vivono in un appartamento di pochi metri quadri in sette. Il primo ad entrare nell'appartamento è stato il padre. E' arrivato una sera. Tarda. Erano le undici e mezzo. Sento suonare il campanello. E vedo quest'uomo, molto magro, un po' stanco, al buio, con una enorme televisione in mano. Di quelle nuove a schermo ultra piatto. Mi dice se posso tenere la sua televisione la notte perchè non trovava più le chiavi del suo nuovo appartamento e che il giorno dopo sarebbe tornato a riprenderla. Mi confessa, immerso nel buio del corridoio, che quello strumento è l'unica via di salvezza per potere sopravvivere a tre figli più uno, quello della sorella della moglie, e di conservare quindi il prezioso con la massima cura. Il giorno dopo verso mezzogiorno sento suonare ancora alla porta. Era lui. Dietro quattro bambini.
Anche loro hanno tirato fuori il loro stendino. Uguale a tutti quelli a terra del corridoio. Si vede che anche loro lo hanno comprato all'offerta lancio stendino da terra dai cinesi.
Da loro l'addetta allo stendinaggio è la figlia maggiore. Si capisce che non è contenta di questa mansione. Esce di casa con la cesta e inizia a sbuffare. Poi le cadono i calzini. Poi le mutande. Così lei sempre sbuffando li raccoglie e li appende. Io la osservo e le sorrido. E lei anche mi sorride. E sono contenta. Perché invece le figlie della Signora Mater Rumena non mi salutano mai. Quando torno a casa e le vedo lì appiccicate alla mia porta e io cerco di sorridere e dire ciao, loro si voltano dall'altra parte. Ma ho trovato un modo di vendicarmi. Ogni tanto, quando mi viene voglia di mettere il mio stendino di fuori, vado a rubare qualche molletta alla loro postazione di stendino. Mi sento un po' più alleggerita.

CAPITOLO QUINDICI

La Signora Maria è morta perchè non aveva più voglia di vivere. Ma non capisco perché.

Ogni giorno io e il mio fidanzato cerchiamo lavoro. Ma non lo troviamo mai. Oppure lo troviamo e poi lo perdiamo. Abbiamo imparato tutto uno dell'altra. Non ci sono segreti tra noi. Passiamo così tanto tempo insieme che i miei silenzi sono silenzi di pace e i suoi di sonno. Questo è l'amore. E solo l'amore può sopravvivere a due anni di poco lavoro. Poco denaro. Rara l'uscita. Eccezionale la cena fuori. Il digitale terrestre poi ci fa perdere un sacco di tempo. Metti l'antenna su, spostala un po' più giù. Rimetti tutto lì. Sposta il cestino di là. Siamo veramente una coppia impegnata.

Ogni occasione della vita potrebbe essere quella giusta. Alla centesima esperienza capisci che è un gioco ironico. E ti convinci che non arriverà mai. Forse era meglio prima. Anche se, Batman caduto dentro il pozzo viene raccolto dal suo fidato maggiordomo che gli dici con il sorriso da padre adottivo “Le cadute servono per farci rialzare meglio”. Fino ad ora le cadute a me, personalmente, sono servite a capire a quale pronto soccorso fosse meglio andare.

Le mie riflessioni della vita sono abbastanza fluttuanti. Appena credo di avere capito una cosa, ecco che arriva l'esatto contrario. Qualcuno un giorno mi ha detto. Immagina che uno dei tuoi eroi preferiti venga da te e ti dica”Insegnami le cose più importanti che sai”. Cosa risponderesti?
Ci ho pensato un po'. Non ho voluto chiamare Batman. Ma qualcun altro simile a me. Ed è iniziata la nostra conversazione: “Caro Spider Man siediti e ascolta. Non tingerti i capelli con l'henne che poi potresti intossicarti, non mangiare troppo piccante che poi non potresti sederti, apri la finestra del bagno ogni volta che ti fai la doccia, comunica sempre i tuoi scatti all'A2A o Eni che sia che se no poi quando arriva la bolletta perdi i poteri, non dire mai la tua vera età anagrafica, trova una casa al primo piano o con l'ascensore (va bè che te voli), non dimenticare le presine accanto al fuoco mentre viene su il caffè, non girare in città in bicicletta senza assicurazione, e infine, forse la notizia per te più tragica, non è vero che i ragni mangiano le zanzare, creano solo ragnatele in tutta casa. Ma non ti conviene cambiare mestiere per questo. Fidati. Tua devota Fan.”

CAPITOLO SEDICI

Mi hanno rubato lo stendino. Quello mio. Personale. Lo stendino da terra. Quello che usavo ogni tanto. Quello che mettevo proprio al lato sinistro della mia porta. E ora non c'è più.
Questa mattina dopo avere fatto la mia lavatrice, preso il cestello pieno di vestiti profumati dall'orsetto della coccolino, apro la mia porta e … mi accorgo stupefatta che il mio stendino non c'è più. Me lo hanno fregato. Mi hanno rubato la mia parte di stenditura. Mi vogliono forse rubare lo spazio e mettere un loro stendino da terra al posto del mio. Ma io, il mio, lo riconosco. Anche se all'apparenza uguale a tutti gli altri stendini presi dal cinese, il mio, quello personale, ha incisa una A all'interno. A come Amore, Attento a te, Amore, Attenzione è il mio stendino non il tuo. Ma non è servito. Me lo hanno rubato. Osservo la fila di vestiti stesi, di corriere di stendini, di profumi invadenti (forse dovrò fare una riunione di condominio per decidere un ammorbidente comune) e io sono l'unica che non potrà più farlo. Ma col cavolo che ve ne ricompro un altro. Sciocchi. Terroni. Maledetti. Io vi denuncio. Già. E che cosa denuncio? Che mi hanno rubato lo stendino? Che mi hanno rubato la fiducia. Io a dire sempre sì, sì puoi mettere il tuo stendino qui da me, si pure quello di tua figlia, pure quello di tua nipote, pure quello di tua cognata, pure quello di tuo marito. Ma mò basta. Mò la favola è finita.
Sono rientrata, il mio fidanzato stava lavorando ad una nuova scultura, e non badava a me, al mio dramma. Non ho voluto raccontare niente. Ma mi sono messa a pensare. Il mio cervello mi stava mandando dei messaggi, c'era qualcosa che mi stava sfuggendo. Qualcosa di importante...e poi improvvisamente è arrivato. E ho capito. La Signora Maddalena quella che piange sempre non appena apre la porta e vede il corridoio, forse non ha deciso di mettere il suo stendino dentro casa. Forse, e dico, forse, lo hanno rubato anche a lei. Certo che potrebbe essere così. Io credevo che la sua infelicità l'avesse portata a rinchiudersi (insieme al suo stendino da terra) dentro le quattro pareti di casa sua. Invece no. Qualcuno qui dentro si è portato via anche il suo pezzo di felicità. E il mio.

Sono costernata. Incredula. Ma cosa se ne fanno di tutti questi stendini? Tanto nemmeno li mettono dentro casa. Ma non mi voglio certo fermare. Voglio essere determinata e andare avanti. Dopo aver visto tutte le puntate della signora in giallo, i o o r a s o c o m e m u o v e r m i. Esco di casa. Osservo silenziosa. Cammino. Arrivo fino all'estremità opposta del corridoio. Apro la porta che ci separa dai piani superiori. E incrocio la Signora Mater Rumena. Lei, un'amica e sua figlia. Tutte davanti alla porta dell'altra sua figlia. Stanno facendo una riunione segreta … staranno nascondendo tutti gli stendini rubati e chissà che altro. Mi avvicino ancora di più e cerco di sbirciare dentro casa. La Signora Mater Rumena mi ostacola e vuole bloccarmi la visuale. Devo trovare uno stratagemma per entrare dentro, immagino la Signora Fletcher, che avrebbe fatto lei, forse si sarebbe fatta cadere un orecchino ma io non li porto, e nemmeno l'orologio, allora, ho poco tempo, io le metto una mano sulla spalla massiccia e le dico “Ha visto per caso il mio stendino?” Un momento sospeso, un'aria senza musica, un brivido di paura, lo sguardo fisso su di me, e ancora silenzio. Poi un gesto. Le mi toglia la mano dalla spalla. Fa cenno alle figlie di entrare, chiude la porta e sottovoce mi allontana. Che cosa sta cercando di fare? Qualè il suo intento? Ci avviciniamo al corridoio e mi dice “Come scusa?”. Ripropongo la domanda “Hai visto il mio stendino per caso? Me lo hanno rubato”. Lei molto sorpresa. Spalanca la bocca senza emettere suono e po dice “Come?” e io “Sì, me lo hanno rubato.”Silenzio. Ancora silenzio. Vedo il suo viso che inizia ad assumere una espressione di oddio cosa sta succedendo e allora io per aumentare la sua pressione aggiungo “e secondo me, lo hanno rubato pure alla Signora Maddalena” (nello specifico la Maddalena è quella alla quale la Mater Rumena vuole rubare casa per metterci il figlio e il suo stendino). A quel punto il viso della Mater Rumena si fa bianco. 


CAPITOLO DICIASETTE

E se poi un giorno ti venisse proposto un viaggio per la Calabria a fare uno spettacolo sul tema della violenza femminile, da Sesto San Giovanni, per rimanere lì soli due giorni, prospettandoti un incredibile percorso in corriera della durata di dodici ore, ti verrebbe da pensare che l'unica a subire una vera e propria violenza sei tu, che infatti sei femmina. Qualcosa di nuovo, aveva detto il mio oroscopo sta per succedere. E infatti più nuovo di una corriera del 1800 che và alla velocità dei cavalli del 400 cosa potrebbe essere? Il nostro spettacolo esibito davanti a 700 ragazzi calabri con fascia di età che corre dalla scoperta della libido maschile allo sterminio della voce del padrone.
Sono molto nervosa.
Ho dovuto perfino parlare con mia nonna al telefono “ma come fai ad essere contenta di un lavoro così?”, mi ha detto, “perchè non ti fingi malata? Devi per caso pagare una multa se alla fine non ci vai?”, e ancora “Ma il tuo fidanzato è contento?”. Inizio a sentirmi male, come uno spicciolo di anima che non si riconosce più, anche se si specchia. Ancora non riesco a capire se questo genere di lavori che sfrecciano dal cielo siano una benedizione o la metafora dell'agnellino che viene sacrificato in nome della Pasqua. Ma la Pasqua è lontana. E io sono qui. Che dopo sei giorni di monitoraggio di voli aerei pulman corriere macchina taxi, ancora non sono riuscita a capire come diavolo si fa a raggiungere quel buco di paese della Calabria. Guarda i voli dal pc, ma non guardare troppo i voli sul pc perchè poi i prezzi aumentano, riconoscono quel pc, allora mi devo comprare un altro pc per guardare i voli da pc diversi così i voli non si accorgono che li stiamo guardando e magari abbassano anche i prezzi, che, mi domando, ma come fanno a sapere che è sempre il mio pc a guardarli e non pc diversi, mio dio ma vale anche per i treni, si vale anche per quelli, allora dovrei comprare un altro pc ancora e confondere i voli gli aerei e i treni utilizzando i tre pc diversi, ma allora vale anche per la corriera? No. Per quella no. Il prezzo è sempre quello. I posti anche. Che glie frega alla corriera. La fila per sceglierla sicuramente non c'è. Senza pausa. Le mie occhiaie. Il mio pallore. Le mie coliche. Il mio umore. Senza pausa. Come ho fatto a dire a mia nonna “sono tanto felice?” Ma felice di che? Io odio la Calabria, odio le corriere e odio anche le donne. E gli uomini. Odio il genere umano. Quindi per me non c'è differenza. Io non desidero convincere 700 ragazzini imbecilli che l'amore è un fiore da proteggere, magari loro i fiori ancora se li fumano. Piuttosto mi metto, sempre SE riesco ad arrivarci Lì, a fumare i fiori anche io.
Mi dovrei calmare un attimo. Ma mi hanno appena rubato lo stendino. E questo mi ha distolto dalla mia indagine vola con confort dal nord al sud atterrando con il paracadute in mezzo all'aula dove ci sono 700 mostri che stanno aspettando PROPRIO TE. Ma io col cavolo che vado ad atterrare lì. Piuttosto lancio una bomba. Così poi possiamo parlare davvero di qualcosa. Io dovevo solo fare uno spettacolo sulla violenza femminile, io non c'entro con questo sterminio, io sono solo una fragile donna. Si figuri, riescono pure a fregarmi l'unico stendino da terra che avevo. Quasi quasi ci mando la Mater Rumena in Calabria. Lei saprebbe benissimo come fare. Lei sì.
Ma ora la Mater Rumena è spaventata. Mi dice con un filo di voce che qualcuno le ha rubato diverse magliette stese sui suoi due stendini a terra. Le figlie credevano si trattasse di una disattenzione della madre, “io non sono così stupida so bene cosa ho steso e cosa no” aveva risposto loro. Inizio a preoccuparmi. Sono state diverse le volte in cui ho pensato di portarmi a casa di nascosto dei magnifici tappetini colorati stesi amabilmente sulla sua ala di stendini da terra. Ma non l'ho mai fatto. Avevo paura di essere scoperta. Che magari un giorno venissero a fare una perquisizione a casa mia e non facessi in tempo a nascondere la refurtiva. Già temo per una probabile visita della Rai. Dove vivevo prima la maggior parte delle persone rimanevano chiuse dentro casa senza rispondere mai al citofono, un po' come fa mia nonna. Solo che lei lo fa per paura di sconosciuti che magari con una scusa qualsiasi poi le potrebbero svaligiare casa. Allora quando si decide di andare a trovarla, bisogna mettersi d'accordo sull'ora precisa, da una parte perché è sorda, dall'altra per non rimanere in attesa di non risposta davanti al freddo del suo portone. I miei amici invece si proteggevano dal canone Rai. Ognuno di loro aveva un codice personale, tre tocchi di campanello per Giovanni, due tocchi veloci e uno lento per Giorgia, uno solo molto lungo per Lorenzo. Enrico invece non aveva codici e non rispondeva proprio mai. Le persiane di casa erano sempre chiuse. Il citofono staccato. Per andare da lui dovevi darti appuntamento al semaforo della via. Si metteva gli occhiali scuri e ti sussurrava, “vieni dietro a me, senza farti vedere senza farti riconoscere” Ma da chi? Ho anche immaginato che l'innominato nemico pubblico Rai potesse essere una copertura per traffici illeciti, o ancora che lui fosse un agente speciale passato dall'altra parte, alla Rai appunto. Comunque pagare il canone anche solo per sentire la radio è una cosa ancora più illecita secondo me. Ma nonostante questo, io, i tappettini colorati della Singora Mater Rumena non li avevo mai toccati.
Qualche giorno dopo mi imbatto nuovamente con lei (Mater Rumena). Il suo volto non è più quello di una volta. Sembra da giorni accarezzata da una leggera linea di vena nevrotica. Ancora mi ferma e aggiunge alla sua ultima scoperta un'altra rivelazione “Mia figlia mi ha detto che sentito due che facevano l'amore su di sopra”. Su di sopra coincide con la soffitta. Una minuscola porta di legno nasconde un'ampia sala traballante, con pavimento che se lo guardi troppo rischia di crollare, con, buttati qua e là, cadaveri di topi morti e ovunque, sparsi per il pavimento, decine e migliaia di piume di piccione. Solo le piume però, perchè o piccioni non muoiono mai. Ecco, la prima riflessione che mi è venuta è stata mia interiore personale, che schifo, ho pensato. E anche, meno male che non sono crollati di sotto sopra il mio letto magari proprio mentre stavo facendo anche io la stessa cosa. Però le ho chiesto se fosse davvero sicura della cosa. Lei ha detto sì, era certa, la figlia aveva sentito voci tipo ah ah ahhhhh, (me le riproduce come esattamente le aveva sentite dalla figlia e la figlia dai due corpi sconosciuti). Le chiedo se per caso, se i lamenti di ah ah ah erano solo di voce femminile e se, alla fine avesse riconosciuto anche un AH più profondo, secco e breve, maschile. La Mater Rumena non sa cosa rispondermi, per cui decidiamo di andare da sua figlia a chiedere maggiori dettagli. Sono elettrizzata. Ho sempre sognato di interpretare la parte di un investigatore privato, di un agente speciale della CSI, e ora sono qui a realizzare finalmente il mio sogno. Ci sediamo al tavolo tutte e tre. La figlia prepara un tè caldo e mentre sorseggia chiude gli occhi e prova a ripensare alle voci, che ora risuonano lontane, dei due amanti. Un istante, un altro istante ancora e infine ...no, è sicura, la voce maschile non c'era. Gli ah ah ah erano solo voce di donna e secondo lei giovane. Mi spiega che secondo lei le giovani donne ancora non si lasciano andare a AAHHHH AHHHHHH eccitanti e vibranti. Ma piuttosto ad accenni timorosi. Forse è vero. Ma la figlia della Singora Mater Rumena non aveva mai conosciuto la mia amica Ginevra. All'epoca aveva 25 anni. Ed era riuscita a svegliare tutto il palazzo la notte. Tanto che alla mattina la vecchietta della porta a fianco le aveva detto che anche lei voleva fare colazione come la mia amica, se questo le avesse permesso di essere così leonessa. Ma tutto sommato è vero. Ancora più vero che solo due ragazzini potrebbero decidere di andare a fare l'amore lassù senza paura di topi scarafaggi cadute. Avrei preferito farlo sulle scale e lungo il corridoio piuttosto. Dentro un bagno pubblico. Tra un albero e un altro di un parco, nelle cantine di palazzine più graziose, nella macchina di qualche sconosciuto, in chiesa dietro all'altare. Ma mai, nella mia soffitta.

CAPITOLO DICIOTTO

Tra l'organizzazione viaggio calabrese alla scoperta dello stendino/stendini perduti, in mezzo c'è la memoria. Lo studio della mia parte di testo. Sono molto felice perchè questa volta interpreto la Morte, e dico un sacco di cose cattive. La docente americana, la Greta Seacat, ci aveva detto che il nostro inconscio a suo modo, cerca di riproporre le condizioni specifiche che dobbiamo ricreare per interpretare un certo personaggio. Non voglio nemmeno immaginare cosa avrebbe elaborato il mio inconscio se avessi dovuto confrontarmi con la parte di una donna che subisce violenza, se in così pochi giorni dallo studio del mio copione, dentro il mio condominio si è creato un mistero all'apparenza irrisolvibile. Certo che è opera della mia parte oscura. Gli eventi accadono perchè tu li fai accadere. Perché tu possa crescere, secondo la filosofia buddista, perché tu possa raggiungere il regno dei cieli, secondo i cattolici, perchè tu possa diventare il tuo personaggio, secondo Greta Seacat. Certo il mio inconscio poteva benissimo lasciarmi lo stendino da terra, visto che la Morte sono io, e la Morte non si farebbe mai fregare lo stendino, nemmeno dalla Mater Rumena. Ma si sa, la parte misteriosa di noi, quella celata, quella che svela ma non dice, quella che manifesta ma non rappresenta, quella parte la sa lunga. E non bisogna intervenire troppo.
LA SIGNORA MATER RUMENA

Non so nemmeno quale sia il suo vero nome perchè non me lo ha mai detto. Quando si è presentata a me, suonando con forza il campanello alle dieci di sera, si era solo messa a discutere di tutti i problemi di spazio, di diritto all'uso pubblico del corridoio, di estensione di spazio anche per la sua famiglia e i suoi stendini. Lei aveva avuto il permesso direttamente dal proprietario di casa. Così mentre il padrone di tutti i nostri spazi e le nostre case, aveva creato un intimo rapporto con lei e lei soltanto, tutto il resto dei condomini si trovava nella posta delle strane lettere firmate dall'amministratore in persona. Dicevano più o meno così “SI AVVISANO I SIGNORI CONDOMINI CHE è SEVERAMENTE VIETATO LASCIARE OGGETTI DI QUALSIASI GENERE E FORMA FUORI DAL CORRIDOIO”. Ora nell'oggetto di qualsiasi genere e forma rientra anche quello rettangolare con due gambe che si aprono e chiudono con delle righe di plastica orizzontali che creano degli spazi vuoti tra una striscia e l'altra. E credo, tutte le biciclette in miniatura dei bambini, e anche quel materiale ingombrante finalizzato ad arte creativa e perfino concettuale. Gli annunci cartacei con firma severa dell'amministratore vennero cestinati un secondo dopo che erano apparsi. Qualcuno giurò di non averli mai visti. Non abbiamo nemmeno dovuto incontrarci a qualche riunione segreta da sottosobborgo condominiale per decidere che quei volantini non erano mai arrivati. Dalla cassetta della posta al cestino differenziato, la carta. Un dipendente dello studio di amministrazione provò anche ad appendere l'annuncio in formato poster all'entrata del palazzo. Ma non funzionò nemmeno quello. Era come se fosse trasparente. Qualcuno diceva “Io non capisco l'italiano” oppure “che significa oggetti di qualsiasi tipo?” o anche “che c'è stasera per cena?”.
Io ci ho fatto gli areoplanini. Ne ho fatti diversi. Di colori diversi. C'era quello giallo che vietava l'abbandono di oggetti sugli spazi comuni, primo areoplanino, poi quello verde che proibiva l'uso del corridoio come contenitore di materia inerme, secondo areoplanino, poi quello rosa chiaro che assicurava che il problema si sarebbe risolto, terzo areoplanino, poi il poster che citava tutti in giudizio, forse al giudizio di Dio, che ci avrebbe fatto un areoplanone adatto alle sue dimensioni maestose, non certo al cospetto del proprietario che si era appena comprato un biglietto per la Maldive. La scomparsa del poster aveva coinciso con le dimissioni dell'amministratore che aveva deciso di cambiare mestiere ed era diventato il capo di una grande fattoria nei colli piacentini.
Avevamo fatto del bene anche a lui.

CAPITOLO DICIANNOVE

Ho sognato un gatto. Rosso. Maschio e grosso. Ho sognato che mia madre mi ammazzava il gatto. Ho sognato che ero al compleanno di un'amica. E anche lei aveva il gatto. Così io non facevo che piangere per la morte del mio. Chissà che significa. Forse un problema irrisolto con mia madre? Forse ancora la voce del mio personaggio Morte sta vibrando dentro me? Forse che il gatto rappresenta la Calabria e vorrei che un uomo dai capelli ramati la eliminasse? Forse che il gatto rappresenta qualcosa che mi appartiene e che mi hanno tolto? Sì, la mia libertà di dire, non ci voglio andare in Calabria. Piuttosto prendete il gatto. Io sono la Morte che me frega. Meglio un gatto morto oggi che un viaggio in corriera domani. Mi sento un po' tradita, infatti su google c'è scritto che quando un gatto muore qualcosa o qualcuno mancherà alla fede data. Da chi mi sento abbandonata? Non lo so. Forse in generale dalla vita ma mi pare un'affermazione troppo romantica. Certo che quando quest'estate mi sono venute dieci cisti in testa e un'infiammazione ai polmoni mi sono sentita tradita dalla mia colorazione naturale e anche quando mi sono recata di corsa all'erboristeria di fiducia, ancora ignara della causa legata alla mia improvvisa malattia, l'uomo di luce mi ha consigliato di fare un bell'impacco all'hennè perchè l'hennè brucia via ogni male. Infatti a me stava bruciando i polmoni e il cuoio capelluto. L'ho scoperto giorni dopo. Dal medico omeopata che si era formato in Germania. Test dopo test era giunto alla seguente conclusione “Signorina, si è presa una bella intossicazione alla tinta.” E io come colpita al cuore “Che significa?” E lui con serena noncuranza “Che non si può più tingere i capelli”. Punto. Cento euro. Arrivederci.
Il gran vento del nord stava scuotendo il mio corpo tutto, anche se eravamo a Luglio inoltrato. Sarei annegata nei miei capelli grigi e bianchi sarei rimasta intrappolata in quella parola sale e pepe o ancora peggio brizzolata, i ministri della vendetta si stavano abbattendo su di me. Ma per che cosa? In cosa ho peccato? Per meritarmi tutto questo. Ancora una volta, non lo so.
Sono andata dal parrucchiere. In tempi di crisi è difficile farsi i capelli. Ma io so come muovermi e sono preparata “Salve vorrei fare un taglio, me senza shampoo che li ho appena lavati e senza piega che poi vado in piscina.” Falso. Falso. Ma spendo solo dieci euro. Credetemi, dieci euro in un periodo di tale castrazione sono molti, ma lo specchio che mi parla e lo vedo che parla proprio a me, è ancora più brutale. Sono entrata poco convinta e ne sono uscita ancora meno convinta. Ho i capelli corti con sfumature di bianco e grigio, su una base la mia che è già di per sé opaca. Non percepisco la mia femminilità. Dove sarà andata a finire? E sopratutto, mi sono mai sentita veramente donna? E che significa? Ancora non lo so. Prendi la domanda sospesa e mettila da parte. Prima o poi qualcosa accadrà, e i capelli ricresceranno. Ma, mentre ero lì seduta, la giovane pollastrella mi guarda e commenta “bisognerebbe fare una meche un colore un colpo di sole, voi che dite?”. Primo, chi te lo ha chiesto di chiedere un parere alle sciacquette di clienti che sono sedute vicino a me? Loro si voltano verso di me. Rimangono in silenzio. La più bionda di tutte piena di ricci e boccoli e con la erre moscia allunga la parola “Ma secondo me dovvesto fave come mia madve un bel ciuffo e taglio pulito”. Brutta stronza. Ma tua madre quanti anni ha? Ma che ti cadessero tutti i ciuffi di Gesù Bambino o ancora meglio, che venissi scelta a fare la parte del neonato al prossimo presepe vivente in Siberia. Io faccio finta di non averla nemmeno sentita e ritorno alle mani che stanno aleggiando sopra la mia testa. “Fammi un taglio giovane, perché io sono giovane”. Pausa pausa pausa mi viene da piangere un'altra volta perché non è vero! Io mi sento vecchia con i capelli bianco grigi e pure povera e pure sola e senza lavoro e senza futuro, il che mi fa sentire forse giovane perchè i vecchi il futuro non lo hanno, a parte Jodorowsky che ha 85 anni si è fatto un video tutto nudo e lo ha messo su facebook dicendo che la sua vera risorsa economica è il fumetto, i film li fa solo per richiamo del cuore. Io ho 41 anni e non mi verrebbe mai in mente di mettermi tutta nuda in un video, specialmente perchè ho sempre le mestruazioni, per cui proprio nuda non potrei mai esserlo, e poi perchè non faccio né film ne fumetti. Mi piacerebbe fare film. Ma odio i fumetti. Quindi anche qui, secondo la logica di Jodorowsky, non cambierebbe niente. E allora che mi ci metto a fare tutta nuda su you tube?

CAPITOLO VENTI

Nel condominio di mia sorella sono tutti belli. I single sono belli. Le coppie sono belle. I genitori sono belli. I figli di quei genitori sono belli. Gli animali dei figli di quei genitori, sono belli anche loro. Nel mio condominio no. Non c'è una rilevanza estetica significante. Si vestono tutti male. Sono sempre arrabbiati. Passano il loro temo a fare le lavatrici e a stendere davanti a casa mia. Nessuno si saluta a vicenda. Ci si indulta da un piano all'altro. Camminano con il volto basso, fumano, buttano la cenere e i mozziconi a terra, dentro il mio vaso di margheritine bianche, che ora sono tutte morte e usano e invece che parlare strillano. Da un piano all'altro. Sono molto felice di vivere qui. Lo dico sul serio. Posso mostrarmi per quello che sono. Esplorare il mio mondo cinico. Fumare appena esco di casa. Non assumere stupefacenti per sorridere. Fare andare la lavatrice di notte. Perchè a quell'ora nessuno dorme. I proprietari del ristorante giocano a tiro al bersaglio con il bidone del vetro, piovono grida dagli inquilini del primo piano che ricevono risposte di altrettante bottiglie frantumate, e insieme cercano di trovare un linguaggio comune, un'altra lingua che sa di gorgheggio che non si genera dal cuore ma dalla bile. La psicomagia crea un misterioso mondo di relazioni nuove. Un incantevole mondo di extraterrestri.
La fiducia è una memoria antica. La sua vera natura risiede nella capacità di saltare agli ostacoli e vedere dentro il cuore cosa è davvero importante. Mi rimetto nelle mie mani per varcare la soglia della mia stupidità e andare dentro e cambiare i pezzi che mi stanno ostacolando. Non c'è niente di vero se non quando sono nella mia casa che sono i miei occhi e il mio respiro. Oltre c'è solo quello che io voglio e decido di vedere. E allora cosa mi riprometto di imparare ora e per sempre?
Non lo so, al momento vorrei solo andare a dormire e continuare a sognare.

CAPITOLO VENTUNO

La bellezza. Non ci sono identità diverse da quelle che in ogni momento cerco di immaginarmi. Io credevo nell'eleganza sottile di Audrey Haupurn nella fragile bellezza di Marylin, ma mai nella ricrescita dei capelli bianchi. Invece ora accade questo. Che se non mi guardo allo specchio mi viene voglia di farlo e quando lo faccio scintillano sopra a me capelli che mi ricordano mia nonna. E mia nonna alla mia età sono sicura che non ne aveva nemmeno uno. Sono l'unica della mia famiglia ad avere avuto un'esplosione complicata di bianco sulla testa. Ma il vero problema è, primo, riconoscere che per te è un problema e non fare finta di niente, secondo, analizzarlo nella tua camera da letto da sola e senza confrontarti con nessuno, terzo accettare te stessa per quello che sei e che stai diventando. Il primo punto l'ho superato.
La Signora Albanesa uno giorno come tanti, sempre seduta a fumare il suo tabacco davanti alla grande porta finestra, mi sorrise e sempre con gli occhi fissi ai miei capelli allora rossi aprì la bocca non per fare uscire fuori il fumo ma “finalmente ti sei tagliata capelli che prima sembravi una nonna ora davvero bella. Ma sei incinta?” . Mi sono sempre rifiutata di dare dall'incinto a qualcuno se non ne fossi davvero certa. Incinta tua sorella, ho pensato. Ma non si poteva fermare al nuovo taglio dei miei capelli? “No non lo sono.” Le avevo dato la possibilità di tramutare la conversazione in altro, invece lei “Forse allora tu colica? Perchè sembri un po' gonfia di pancia.” Gonfia di pancia tua sorella. “No, nemmeno una colica per questa settimana” credendo che la conversazione sulla mia pancia si fermasse lì e invece no “allora secondo me tu allergica al latte, tu bevi latte?”. Mi veniva da prendere lei la sua sediolina il tabacco e anche sua sorella, tutti insieme, e, superati i limiti dello stendino da aria, buttarli oltre a lui, oltre la tettoia, il più lontano possibile da me. Avvertita una certa insofferenza, il mio fidanzato cercava ancora una volta di non ridere, e se solo l'avesse fatto, gli avrei detto che ero incinta davvero, così tanto per dire, così tanto per scrollare la sua sicurezza dalle spalle, così tanto per rendere il mio trauma interiore, un suo trauma esteriore. Mi prese la mano, salutò la Signora Albanesa e mi riportò a casa. Dolce contenitore di lacrime, il mio divano mi prese e mi strinse a lui. Accesi la televisione e mi sintonizzai sul mio programma preferito, Beautiful.

La visione giornaliera di una soap opera come quella crea dentro il mio animo uno spazio di possibilità che aumentano la fiducia nel futuro in termini di ricchezza. Donne giovani, tutte belle, sempre con trucco perfetto, percorrono lo schermo piene di slancio, con documenti importanti da formare, con sfilate da organizzare, interviste e amori con altrettanti miliardari. L'unico personaggio disagiato che è entrato ha tramutato il suo stato sociale nell'arco di due puntate. Questo nella vita non capita mai. Io lotto con la mia autostima ogni giorno per rassicurarla, il riconoscimento sociale pubblico è indipendente dalle tue qualità. Anche alla tua età. Ci credo sempre poco e il mio tentativo di ipnotizzare la mia autostima finisce per convincerla del contrario. A quel punto mi metto sul divano e guardo un mondo parallelo e mi sento meglio. Mi basta poco. A parte oggi, che mi si è rotto il televisore. Sembra una cosa di poco conto, ma il silenzio acuto che si crea quando l'unica voce che riesci a sentire è la tua, quella interiore, ti rendi conto che quell'apparecchio è fondamentale per la tua sopravvivenza. Ho chiamato l'Amministrazione e qualcuno mi ha detto che prima di mandare un antennista nel condominio di periferia avrei dovuto consultare tutti i condomini per sapere se loro avevano lo stesso problema. L'ho fatto. Con la Signora Mater Rumena non è stato difficile perchè lei e la sua famiglia sono sempre qui al mio piano davanti alla mia porta a proseguire l'infinito atto dello stendinaggio. Loro non avevano problemi di ricezione. Sono andata a suonare alla famiglia sempre felice che vive proprio al mio stesso piano. Ho trovato tutti e quattro i figli davanti allo schermo ultra piatto a guardare Peppa Pig. Non è possibile, ho pensato, tra tutti quelli che vivono qui, proprio a me doveva capitare? Non mi sono data per vinta e sono andata direttamente dalla Signora Maria. Mi ha aperto. Fatto entrare. Era molto agitata. Aveva un mazzo di carte in mano. Li conoscevo, li ho usati per anni, consultati in continuazione, cercato persone che me le facessero, creato una dipendenza malvagia tra me e loro e l'ultima volta che me li sono fatti fare sono andata in depressione per due mesi, che poi, è coinciso con la terza partecipazione al pronto soccorso. Una mia amica mi aveva detto che voleva andare a Londra ad aprire un negozio di vestiti e mi aveva chiesto se l'impresa potesse interessarmi. Ero un po' ciondolante nel pensiero, in fondo qui in Italia non riuscivo a trovare niente di soddisfacente, forse quella poteva essere una buona opportunità. Per sbaglio, un giorno, mentre mi trovavo nello studio di amministrazione per parlare del problema degli scarafaggi autunnali, e raccontavo di questa proposta, una signorina mi suggerì di andare a fare una consultazione con una cartomante molto brava. La chiamavano Teresa. E aveva un'impresa di pulizie. Ma a tempo perso leggeva il futuro. Io non ci volevo nemmeno andare, la mia risposta sarebbe stata subito no, invece dopo pochi minuti la Signorina alla scrivania mi aveva già fissato un appuntamento. E' incredibile come nella società di oggi, si debba attendere mesi anni e forse ere, per l'arrivo di un elettricista, e due minuti soltanto per una cartomante.
Il giorno dopo sono andata. La sua casa si trovava proprio di fianco al Bingo scommesse (sopratutto perdite). Ho suonato. Lei mi ha risposto. Sono salita. Ancora la porta di casa, aperta, lei dietro, non la vedo, entro, vedo una mano che appare dal nero e poi lei. Lei. Lei. Lei, una donna di una sessantina di anni. Bionda biondissima, con un enorme fiocco rosa di tulle sulla testa, occhi chiari ma nascosti dal trucco azzurro, guance rosse come il fiocco profumo impegnativo e, con pochi denti in bocca. Ho avuto un attimo di incertezza perchè non riuscivo a capire se la sensazione fosse di Like a Vergin quaranta anni dopo, o la strega di Biancaneve dopo un incontro con Paris Hilton. Me ne volevo andare via. Ma non ho fatto in tempo. Mi ha preso la mano e trascinato nel suo studio. Subito ha avvertito che la mia energia era molto bassa. “Mh … non lo so se riuscirai mai a fare qualcosa con questa vibrazione che sento provenire da te”, prende le carte, continua a fissarmi, le butta sul tavolo, ne pesca tre, le guarda e dice “Infatti è proprio come pensavo... mi dispiace ma qui vedo solo carestia delusione insofferenza”. Ma perchè sono venuta qui? Io volevo solo un antennista, dov'è l'antennista? Dov'è? Dove siete finiti tutti? Perchè sono rimasti solo i cartomanti? Perchè sono qui? Perché …. Lei capisce che io ci sono rimasta male. Allora mi conforta, e mi assicura che a tutto c'è un rimedio. Il suo, era una pozione magica. Mi introduce nel mondo della magia bianca. Lei non è veramente la proprietaria di un'impresa di pulizia che fa milioni, ma la portatrice di guarigione, la maga in rosa che aiuta la gente e sconfigge il male. “Se io aiuto le persone a stare meglio sono contenta ma se poi quelle stesse persone parlano di me e mi tradiscono la mia magia avrà effetti catastrofici nelle loro vite”. Iniziavo davvero a sentirmi male. L'unica cosa che avrei voluto fare uscita da quella casa sarebbe stata la trasmissione orale dell'evento e invece ora non mi era permesso, perchè, se già partivo da una situazione del mio presente, drammatica, il mio racconto avrebbe portato ancora più sfortuna nella vita. E quella pozione. Mi faceva venire i brividi, la nausea e l'assoluto terrore. Mentre si accinge a prepararmi la pozione non perde tempo per farmi notare il suo piede rotto “Lo vedi si? Sai chi è stato?” io rimango in silenzio “Tutti credono che io sia inciampata per caso, che sia stato lo scalino la causa del mio incidente” ancora in silenzio (io) “Invece no. Ti citerò un nome. Mr X. Lui, è lui il responsabile della ferita” forse avrei dovuto continuare a tenere la bocca chiusa invece parlai “Ma allora perchè non lo denunci?”. Lei alza lentamente il volto, sposta i capelli, cerca i miei occhi e poi mi svela che “Lui è responsabile a livello sottile, con le energie del male, con la parte nera dell'anima ha provocato la rottura del mio piede. Purtroppo non ci sono ancora agenti speciali delle forze del bene. Quindi, capirai che devo stare zitta.” Avevo sempre più paura ma lei continua “Ma non credere che per quest'uomo sia finita così. Mi sto allineando con tutto il potere del cosmo. Nessuno potrà più fermare questo flusso. Io sono investitrice del Bene. E' il mio compito”.
Sono uscita da quella casa attorcigliata confusa perturbata. Volevo solo un conforto per il futuro e mi sono ritrovata con una montagna di credenze e di paure da ripulire. Io avevo solo un problema con la mia autostima. Ora con tutto il cosmo intorno. Volevo solo un antennista. A me bastava vedere la milleseicentoventesima puntata di Beautiful.


CAPITOLO VENTIDUE

Oggi. E' iniziato il mio nuovo lavoro all'ufficio di Amministrazione reparto Censimento Sezione Catasto, collocamento - piani sotterranei, freddo e isolamento. Io e 150 condomini racchiusi in altrettanti plicchi di fogli raccolti in contenitori di carta plastica con inciso sopra ad ognuno (forse con il sangue di quello che lavorava lì prima di me), il nome del condominio corrispondente. Una scrivania in mezzo al nulla, sette sedie vuote a parte una, la mia, un telefono che dovrà essere utilizzato, ma al momento non fa altro che suonare ad intervalli quasi regolari di circa 5 o 6 secondi, intervallato dalla voce di qualcuno che grida all'interfono “qualcuno risponda!”
ma non è rivolto a me, certamente no, dato che sono collocata al di sotto degli uffici pubblici, quelli senza riscaldamento e mi devo focalizzare sulla scheda 27 che corrisponde al Sig. Mattia P. che è proprietario di due box foglio 24 cellula 57 sub 8 il primo e 9 il secondo e pure di un appartamento del quale è proprietario al 33 per cento, l'altro non si sa, allora ora dovrei prendere il telefono ora, che non squilla, e fare il numero e parlare con il Sig. Mattia P. e interrogarlo senza sembrare che lo stia facendo, su chi sono gli altri proprietari. Ma se invece io lo ricatto e, ovviamente in tono da non interrogatorio, gli dico, che se non si decide a rivelarmi il nome degli altri due proprietari, ancora con tono lieve, io gli faccio arrivare una bella multa da centocinquanta euro con posta prioritaria, sempre addebitata a lui, lui, forse si sente incoraggiato a parlare oppure no? No, mi rimprovera il tutor del mio primo giorno di lavoro. E' sempre meglio non litigare. Meglio è apparire gentili e delicati, presenti e professionali, diretti ma non invadenti. Necessario è pensare a loro, i condomini, i veri re. Allora niente. Mi faccio una camomilla e riprendo la cornetta.
La cosa che sto imparando dei condomini è che sono una razza speciale, a parte, che si trasformano non appena gli viene affidato un codice di appartenenza. Certo, siamo tutti un po' condomini in questo mondo. Io compresa. Allora significa che già dalla nascita siamo destinati ad essere così, chi viene gettato in un condominio, chi in un altro, chi ha la fortuna di vivere in un palazzo tutto suo, chi in una baracca senza amministratore, chi è costretto invece a condividere la sua vita in mezzo a cento appartamenti e ad affrontare ogni giorno la difficile scelta tra “lo denuncio oppure no?”, “lo sa che il suo cane mi ha fatto la cacca sul balcone ancora una volta? Gli ammazzo il cane o gli insegna a prendere una mira diversa?”, “preferisce che invito una squadra di rugby a casa verso mezzanotte o decide di tappare la bocca al suo appena nato bambino?” … e tutte queste voci, pensieri, ora sono in mio possesso, io conosco i loro codici, i loro nomi, io sono superiore a loro perchè io ho il potere. Il potere del censimento.
Ore 09.00 primo tentativo di chiamare la Signora Cirilla. Nessuna risposta. Ore 09.10 ho già fatto tre telefonate andate a buon fine. Ore 09.25 dopo aver rimesso mano al numero di telefono di Cirilla, che ancora non risponde, mi imbatto nella Signora Gina, che mi dice che non sa bene di cosa sto parlando, di che codice voglio, di cosa significa la parola catasto, che se per caso a qualcosa a che fare con la parola a-n-a-g-r-a-f-i-c-a , allora lei è nata il 23 luglio del 1940 a Barletta anche se poi si è trasferita a Milano, da piccola, perchè la sua famiglia era molto povera, e che ora è tanto stanca perchè è appena tornata dall'ospedale con il braccio rotto, quindi smetterà di chiamare l'ufficio, questo ufficio dove mi trovo io, per, (direi io sfrantumare le palle) fare la combattiva, dice che ora ha bisogno di riposo e di stare tranquilla, per questo, figuriamoci se ora, perde tempo con me e con i miei codici, mi dice arrivederci e butta giù il telefono. Ore 09. 45 ricevo una chiamata minatoria da una certa Signora Mamoni, che mi chiede per quale diavolo di motivo lei, con tutte le cose che ha da fare, deve perdere tempo ad aprire il foglio del rogito di casa sua e dare i maledetti codici a me, proprio a me, che in effetti dopo solo quattro giorni di lavoro, mi domando perchè mai io, devo essere costretta a prendere i codici della Signora, perchè, primo, mi sta antipatica, secondo, preferirei prendesse la multa, invece allungo la mano oltre il telefono e trascino “il foglio” che al punto numero 6 dice che tutti i condomini sono obbligati a consegnare questi codici al loro Amministratore, obbligati e bla bla bla, che se non lo fanno secondo la legge bla bla bla, si ritorce contro tutti i proprietari di casa e bla bla bla, MULTA. Ecco allora la Signora che rimane in silenzio e mi dice che farà quello che può. Le dico, grazie. Ma penso, strozzati. Ore 10.00 dodicesimo tentativo di contattare la Signora Cirilla. Niente. Prendo in mano la sua scheda. Scopro che è nata nel 1927. Mio Dio. Sarà mica morta? Con i miei codici in mano?

Oggi mi hanno spostato in un altro ufficio. Ai piani alti. Dove c'è il riscaldamento. Vicino alla macchinetta del caffè. Sono giù cresciuta di grado. Sono un po' indecisa se lasciarmi andare alla felicità o alla frustrazione. Ci penso ancora un po'. In quel po' arriva un piccolo ometto, magro magro, con la barba e i capelli rossi. Entra nel mio regno, si abbassa, si mette sotto il tavolo, io mi sposto, meno male che non ho la gonna, si trascina per cinque secondi e poi si ferma. Davanti ad un punto preciso. Una specie di tombino. Misterioso. Sarà un passaggio segreto? Sarà un nascondiglio per le anfetamine degli impiegati? No. Sarà il contenitore dei cavi elettrici. Ma perchè lo apre? E dove va? Ma chi l'ha mandato? Sta tornando. Con in mano un computer. Degli anni 90. Oddio. Lo sta montando proprio nel mio ufficio. Sono cresciuta ancora di grado? No. Devo solo ricopiare i milleseicento nomi lì dentro. Oddio (2) ma allora dove le nascondete le anfetamine? Dove? Dove?

Ore 11.45. L'uomo magro e rosso ancora cerca di montare il pc degli anni 90. Mi chiede se voglio collegarmi ad una stampante. Io dico sì. Lui nemmeno risponde. Sbuffa. Io cerco ancora le anfetamine. Non avrei mai dovuto smettere di drogarmi. Avrei dovuto saperlo che la vita non mi avrebbe condotta lì dove avrei voluto con facilità, che mi avrebbe fatto attraversare le vie ignote del signore e dei signori dei condomini di tutta Milano.

Ore dodici e 30. Pausa pranzo. Mi sbaglio. La pausa pranzo è tra mezz'ora. Mi tolgo il cappotto. Il cappello. Faccio scorrere la sedie a velocità 0,00 per far scorrere il tempo. Riaccendo il computer che va esattamente alla stessa velocità. E non appena il calcolatore digitale dà il segnale di accensione, sono arrivate le 13.00. E' finalmente arrivata l'ora. Arrivederci.

Ogni giorno pare un attimo perso nella grande avventura della vita, anche se prima la vita ti pareva noiosa. Io mi alzo ogni mattina alla stessa ora, le sette. Del mattino. E lo facevo anche prima di questo lavoro. Solo che ora mi appare più faticoso. Arrivo nell'ufficio e ancora non sono capace di salutare tutti, di fare il giro di ogni ufficio, ricordarmi i nomi e dire ciao e buon giorno. Vado dritta al mio spazio. E incomincio a lavorare. Poi dato che mi devo alzare spesso per fare fotocopie, caffè bagno e acqua, qualcuno lo incontro sempre. E il mio saluto inizia sempre un po' più in là delle otto e mezza. Il caffè prima mi piaceva molto. Ora invece non riesco nemmeno più a berlo.
L'uomo che lavora nell'ufficio vicino al mio si spruzza del deodorante neutro roberts a spruzzo sempre alla stessa ora. Le 17.45, un quarto d'ora prima della chiusura dell'ufficio. Pensavo lo facesse per cambiare l'aria consumata. Certo alcune cose non mi tornavano. Tipo, come mai decide di cambiare l'aria poco prima di uscire e non dopo poco essere entrato? Poi, non sarebbe stato più facile aprire la finestra invece che invadere la piccola stanza di vapore profumato? O ancora, ma il suo ufficio doveva proprio essere vicino al mio? Che oltre all'odore di chiuso, di carta, di fotocopiatrice, di umano logorato dal lavoro, devo anche trovare lo spazio nei polmoni per inserirmi quello scioccante odore proprio prima di uscire? Ecco. Le cose che non riuscivo a capire. Quando poi mi sono accorta che tutti quelli che avevano l'ufficio vicino a lui, iniziavano a tossire ad avere conati di vomito, e mancanza di respiro, ho chiesto, in privato, a tutti loro, che magari, qualcuno, poteva rassicurarlo, l'uomo con il deodorante in mano, che il suo ufficio non aveva bisogno di aggiunte di aria, che era perfetto così, che l'odore era proprio quello giusto, tipico di un ufficio di amministrazione, e che lui ci stava bene lì dentro, mentre sarebbe stato difficile immaginarlo, data la sua fisicità fortemente maschile, all'interno di una profumeria. Ma la risposta che mi venne data mi portò ancora più sconforto. Mi venne rivelato che l'uomo non utilizzava il deodorante per areare il suo ufficio, ma solo per nascondere la puzza di fumo da sua moglie, che ancora credeva che Lui fosse riuscito a smettere di fumare. Da almeno cinque anni. Io se fossi stata la moglie mi sarei domandata se per caso, invece che andare in ufficio, mio marito si fosse trovato una commessa della Rinascente come amante. E sarei stata molto più contenta a sapere che nella bocca teneva stretta la sigaretta e non la lingua di qualcun altra. Ma il mondo è bello perchè è profumato. Anche se l'ultima persona che è venuta a trovarmi profumata non lo era per niente. Gli piaceva non lavarsi. Gli piaceva tenere gli stessi vestiti per giorni e giorni. Gli piaceva che gli altri riconoscessero il suo odore. Come l'uomo con il deodorante in mano, l'ospite straniero aveva lasciato nel mio salottino cucina, un odore antico, che arrivava da lontano, e che non se ne voleva andare. Le sei del pomeriggio diventavano mattina, e la sera tornata a casa, ancora inebriata dalla fragranza del buongiorno, venivo completamente abbattuta da un odore che aveva tutto dell'uomo, troppo dell'uomo, e nulla della profumeria.

Sono molto felice di una cosa però. Molte delle ragazze che lavorano lì, guardano Beautiful. Almeno posso parlare di qualcosa.

Oggi è arrivata Concetta, mi ha allungato un plicco di fogliettini tutti pinzati assieme e ha detto : “Ecc io volev dir, che non son propr intelligent che non ci capisc tant di ste cous, me lo fa la mia amic, che non è che è più intelligent di me, ma forse sì un po' di più, che non mi poss far aiutar dai miei figl, che so grand lontan, anche se quell propr più grand, ora vive con me, e quand mai se ne và via a mmo, che l'ha lasciat la fidanzat hanno comprat cas, e poi bast, lui cuore rott, ha detto, bast, bast, non mi voglio fidanzar mai più, e da me è tornat, 50 ann e quand più la trov una ragazz ammo, ma lui non ci capisc nient di sti codici della legg, di condomini, non sa nient, nient, però è trist depress, ma io glielo dic, meglio che ti mett l'anima in pac, che un'altra non la trovi più, e mmo a quell'eta e quand più la trov un'altra? È bell sì un po' invecchiat ma insomm … che per una mamm è difficil veder una cosa così, ma io glielo dico, ormai starai qui, almen una casa l'hai, no?”

La ascolto, seriamente, attentamente, ma non perchè non capisco quello che dice, in fondo basta aggiungere una vocale ad ogni fine parola. Lei è talmente angelica quando parla, sopratutto in modo così atroce del figlio. Chissà, lui, il figlio, cosa sentirà nel cuore ogni volta che la madre gli predice il futuro. Forse la morte. Ma almeno, come dice lei, una casa la ha.

CAPITOLO VENTIDUE

Maddalena Sacra Immacolata si vedeva sempre meno. Anzi per niente. Ho pensato che rimanesse chiusa in casa giorno e notte. Ma non avvertivo nessun rumore. Alle volte, certe notti, mi pareva di avvertire un massiccio masso di chiavi che cercavano di aprire la porta. Fino ad un sabato pomeriggio. Ero fuori dalla mia porta per dare una annaffiata ai piccoli fiori bianchi dentro il vaso sopra il mobile bianco, di fianco alla mia porta, e improvvisamente arriva un ululato. Oddio, ho pensato, ancora la coppia della domenica mattina. Hanno aggiunto anche il sabato. Però poi mi sono accorta che non erano le solite urla. No no. E ancora, non provenivano da fuori il corridoio. Ma dalla casa di Maddalena Sacra Immacolata. Ma, ero certa, quella voce, quel modo di gridare sconsiderato, non poteva essere quello di Maddalena. Lei parla solo per piangere. E in tutti questi mesi non ho mai sentito urla provenire da loro. Quel porco, ho pensato. Quel gran porco del marito. Si sta facendo un'altra. Ne sono sicura. Infatti una settimana prima, l'ho incontrato stranamente davanti alla sua porta, che sta davanti alla mia porta, l'ho salutato, gli ho detto che pensavo fossero andati a vivere da un'altra parte, lui ha detto no, perchè? (perchè siete spariti, e pure il vostro stendino, ecco perché) allora glio ho chiesto come stava Maddalena, lui bene, che stava in ospedale, io sono rimasta zitta ma ho pensato a come fa una, e non solo Maddalena, a stare bene, se sta in ospedale. Lui non mi ha dato altre spiegazioni e si è chiuso la porta dietro. Ritornando a questo presente, quello in cui sono io con l'annaffiatoio in mano a dare da bere ai fiori bianchi, quello in cui io sento involontariamente sussurri e grida dalla porta di Maddalena, io che devo pensare? Mio Dio! Forse l'ha ammazzata. Forse è entrato di notte in ospedale e le ha messo un cuscino sulla bocca. Stanco del suo pianto ha preferito ammazzarla. Forse ha cercato di farlo prima ed è per questo che una settimana prima mi ha detto “Maddalena si trova in ospedale” ed è per questo che ha chiuso in fretta la porta dietro di sé. Quel maniaco nano porco, che ha sempre cercato di entrare dentro casa, dal primo giorno, con scuse inadatte, tipo, mi fai vedere come hai montato le zanzariere, ma le tue persiane sono tutte intere, ma perchè non mi chiedi della mia collezione di farfalle, che ti mando il mio fidanzato e te le fa vedere lui.
Ora sono molto preoccupata. Non so bene cosa fare. Rientro. Ne parlo con il mio fidanzato. Lui ride. Ma, come fa a ridere ogni volta che gli rivelo una tragedia? Mi dice, primo, come faccio a essere sicura che quel mugolato non sia quello della Signora Maddalena. Io apro la porta e glielo faccio sentire. Anche lui l'ha vista in faccia e l'ha sentita piangere. Dunque, gli dico, sei convinto che non è Lei? Lui ancora ride, dice, ma come faccio a saperlo, e che se anche fosse un'altra, non era davvero detto che il marito l'avesse ammazzata. Si trattava solo di un'amante.
Rimango stupefatta. Non ci avevo proprio pensato. All'amante. Senza tentato omicidio.
Non ci avevo proprio pensato.

CAPITOLO VENTITRE'

Il nostro amico Chen ha trovato un altro lavoro. Ci ha chiesto in prestito la bicicletta. E io gli ho dato quella del mio fidanzato. Lui in cambio mi ha regalato dell'erba. Mi ha detto che è la sua passione. E che a casa sua, forse le Filippine ma ora non ricordo, ha un'intera piantagione. Ricca e abbondante. Sono tornata a casa con l'erba in mano e con l'idea che il nostro amico Chen fosse un narcotrafficante di maria. Ho pensato che se anche fosse, mica esercitava la professione qui a Sesto San Giovanni. Ma solo nelle Filippine. E che quindi la polizia delle Filippine non sarebbe mai arrivata a noi. Però, mi sono anche detta, questa porzione che ci ha regalato, l'ha presa direttamente dalle Filippine o dal cortile di casa sua? Nel cortile di casa nostra sono sicura di no. E' vero che lui ha trasformato la terra accanto alla spazzatura una foresta amazzonica, ma se lì dentro ci fosse stata anche la maria me ne sarei accorta. Una volta quando ero molto giovane avevo provato a coltivare dei semini di maria sul terrazzo di casa mia a Milano, insieme alle mie inquiline. Dopo qualche giorno la piantina sembrava iniziare a dare i primi frutti. Dopo pochi altri un piccione si mangiò tutto. Senza lasciarci niente. Il piccione fatto di maria volava davanti al nostro condominio. Lui si capiva che era felice da come volava. Noi guardavamo lui e volevamo sparargli. Ma lo abbiamo lasciato vivere.
Dopo circa quindici anni di astinenza da qualsiasi sostanza stupefacente mi sono concessa il lusso di fare un tiretto di erbetta ecologica. La mia pressione è scesa a meno venti. Sono diventata bianca in volto. Ho bevuto una bottiglia di coca cola. Ho guardato san remo pensando di assistere ad un capolavoro e mi sono addormentata alle nove e un quarto. Ho sognato che l'intero reparto della polizia delle Filippine suonava alla nostra porta. E noi cercavamo di scappare dalla finestra ma non potevamo perchè c'erano le zanzariere. Poi è suonata la sveglia. Ho aperto gli occhi. E mi sono trovata in un altro incubo. La realtà.

CAPITOLO VENTIQUATTRO

Oggi sono sempre seduta alla mia scrivania a fare il catasto di tutti gli immobili del mondo. Sempre oggi il telefono ha squillato centoventi volte in un'ora, il citofono altrettante, nonostante l'ufficio la mattina sia chiuso, e tutti sembravano colti da spasmi e attacchi di panico. Incolonnati al centralino mille signore che portavano un'età consistente, tutti sordi e metà con il bastone. Abbiamo capito che era scoppiata una caldaia che aveva creato incisivi danni dentro il palazzo abitato da 190 unità e 400 codici anagrafici. La ragazza che lavora al centralino cercava di spiegare a voce molto alta che sarebbe stato opportuno fare fotografie alle parti rovinate prima di iniziare a ripulire il tutto così da potere essere risarciti dalle assicurazioni. “Deve fare le foto capisce , le foto!”, e le signore rispondevano “che foto? Che foto devo fare?” e lei “le foto alle parti danneggiate” e loro “ ma io non lo so se ho una macchinetta fotografica, forse da qualche parte nel cassetto ma non sono capace di mettere il rullino” e poi “ma io ne ho trovata una su un giornale posso usare quella?”. Ore di sacrifico vocale per noi prima, e per tutti i parenti dei Signori poi.
Qualcuno nella ressa è riuscito a raggiungere il mio ufficio, in corsa, con in mano le carte catastali, plichi e plichi datati 1924, carte bene arrotolate intorno alle braccia, carte sopravvissute allo scoppio della caldaia, carte che dovevano essere interpretate da me e dal mio fidanzato. Certo mi sono dimenticata di dire che anche il mio fidanzato lavora qui con me. Ci sosteniamo a vicenda. Alle volte io mi dimentico di chi sono e mi allontano dal presente, viaggio in un cosmo fatto di mare e pesciolini rossi. Allora lui mi richiama alla realtà. Così quando lui cerca di introdursi nel mio sogno e si mette a fare il bagno nel mare che io sto sognando, io gli dico di uscire dall'acqua e di tornare a lavorare. Nel mio mare non ci sono bagnini, non ci sono persone, non c'è niente. Soltanto io il mare e il mio fidanzato.

CAPITOLO VENTIQUATTRO

Sono dentro casa e sento dei rumori che provengono da fuori. Qualcuno sta usando uno stendino. Ma non so chi sia. E anche se uscissi di fuori sono sicura che sarebbe per me una sorpresa. Ogni volta vedo una faccia nuova con un bambino nuovo. Usano sempre gli stessi stendini che appartengono alla mater rumena e famiglia. Ma come fanno a moltiplicarsi in così poco tempo? Io non riesco nemmeno a fare un figlio dopo tre anni e loro nell'arco di due, generano piccole creature che da grandi utilizzeranno quegli stendini che ora sono di proprietà dei genitori. Sono passati venti minuti e lo sconosciuto di fuori ancora stende. Ma quanti calzini hanno? Ma quante mutande? Ma quanti sono? Ma non si stancano mai di fare le lavatrici? Che poi bisognerebbe anche parlare del detersivo che usano. Insomma, dato che i loro stendini sono alloggiati tutti allo stesso sconfinato corridoio, come minimo dovrebbero usare un detersivo comune, un ammorbidente, lo stesso, per tutti. Non è concepibile salire le scale aprire la porta e tuffarsi in un mondo di odori diversi. Suggerirei coccolino blu concentrato. Per tutti. Indistintamente. Se bisogna rispettare il decoro condominiale all'esterno, quindi tutti con le stesse persiane color verde marcio, allora lo stesso decoro deve avvenire anche all'interno. Decoroso odore di coccolino concentrato blu.

CAPITOLO VENTICINQUE

Non sono un femminista. Ma ci sono certi uomini che mi fanno pentire di essere donna, e rinascerei uomo solo per potergli dare un pugno sulle palle. Questo è l'effetto che mi dà un tipo che si aggira nel nostro condominio. Vive al primo piano. E ci viene a trovare spesso. Cioè, viene a trovare il mio fidanzato. Non me. Perchè è già tanto se mi saluta. Lui arriva suona e si mette a parlare di arte di libertà di vino e di sesso. Si mette anche a parlare di piselli. Non quelli da mangiare. E mentre parla io ogni volta cerco di trovare un filo rosso che possa collegare le nostre esistenza. Ma ogni volta sto filo mi viene voglia di bruciarlo. E di farglielo mangiare. Mentre brucia. Forse dovrei usare altre tecniche. Tipo fare finta che non esista. Come lui fa con me. E smetterla una volta per tutte con la storia che bisogna essere buoni e cortesi per forza. Che me frega. Mi sta antipatico. Non mi piace. E' solo l'amico del mio fidanzato. E vive al primo piano. Non so. Non vorrei certo che lui andasse via da questo condominio. Lo auguro a me. A lui invece di rimanerci fino alla fine del mondo. Insieme a tutti gli stendini e alla mater rumena.

CAPITOLO VENTISEI

La porta davanti alla mia è silenziosa ormai da settimane. Nessuno è più tornato. Nessuno si è più visto. Sarà iniziata una caccia all'uomo? L'uomo che non ha pagato l'affitto da mesi? L'uomo che potrebbe avere ammazzato sua moglie? L'uomo che dopo avere commesso un omicidio si è trovato un'amante?
Il proprietario di tutto questo condominio è un uomo che zoppica. E per salire fin su da noi, deve partire almeno due ore prima. Porta un bastone. Ha gli occhi azzurri. Ma è un uomo privo di scrupoli e molto avido. Tutti in questo condominio dicono che lui ha dato il permesso a loro di portare gli stendini davanti alla mia porta e le biciclette accatastate al piano di sopra, lì sulla ringhiera che conduce alla soffitta abitata da piccioni e misteriosi amanti. Il popolo del secondo piano quindi, dice di essere autorizzato da quest'uomo zoppo dagli occhi blu. Ma quando lui riesce faticosamente ad arrivare al mio piano, cambia faccia, gli si blocca anche l'altra gamba e inizia a telefonare all'amministratore. L'ultima volta mi ha pure dato la colpa di invadere la proprietà comune con i miei stendini. Allora è scemo, penso. Primo, come fa a credere che io possa avere sette stendini tutti per me? E decidere pure di metterli in ordine sparso lungo il corridoio. Secondo. Dovrei lavarmi e cambiarmi almeno dieci volte al giorno per riuscire a tenerli sempre tutti stracolmi. Terzo. Come crede che mi vesto sto zoppo dagli occhi blu? Non mi conosce per niente.
Sono intervenuta subito. Ho per inciso detto che quegli stendini non erano miei! Ora mi viene il dubbio che tutta la famiglia della mater rumena abbia parlato male di me allo zoppo dagli occhi blu. Gli abbia detto che io invado tutto il piano (che se anche fosse che ve ne frega? Voi vivete al piano di sotto. Maleducate) impedendo al corridoio di risplendere in tutta la sua luce? Aggiungerei luce di scarafaggi. Ma sto zitta. Potrebbe anche non essere andata così. Non posso credere che la mater rumena stia cercando di incastrarmi.
Devo rimanere accorta.
E intanto il mio fidanzato continua a ridere.

CAPITOLO VENTISETTE

E' notte. Una signora anziana sta dormendo profondamente. Sogna di tè caldo e biscotti inglese. Una cameriera con il vestito nero e il grembiule bianco glielo versa nella tazza. E' bollente. Ed è in quel momento che la caldaia della palestra scoppiò. Due piani sotto il suo appartamento. I doppi vetri scoppiarono brutalmente. E la Signora si svegliò.
Rimase immobile e senza respiro davanti a quello che rimaneva della sua cucina. Non fece niente. E nemmeno il suo cuore. Che infatti smise di battere. Proprio in quel momento. Anche se un attimo prima di finire a terra l'anziana signora pensò un ultima volta a sua figlia. Precipitò a terra con un sorriso sulle labbra.

CAPITOLO VENTOTTO

Non lo so che cosa succede quando si supera la sensazione di avere fallito. Di avere superato anche la risonanza della parola, fallimento. Prima hai solo un punto di vista che è il tuo che cerchi di fare indisturbato dalle voci del mondo e sopratutto dalle tue (voci) che ancora non senti. Credi ogni volta di realizzare la cosa giusta che porterà chissà dove. Successivamente capisci che il chissà dove non è da nessuna parte se non in aumento e crescita di una sola parte che è quella dalla quale sei partito cioè te stesso. E insieme arriva improvvisamente il mondo e poi le voci del mondo e poi le tue di voci. E in un attimo tutto il tuo mondo creativo viene gettato giù. Ma poi una volta frantumato lo raccogli e ricominci da capo. E ancora. E ancora. Fino a quando oltre al mondo sei anche tu che ti frantumi. E lì non ci puoi fare proprio niente. Se non assistere al tragico e inevitabile crollo di tutto il tuo essere. Emotivo psicologico fisico e alle volte ormonale. Una bella botta. E mentre sei lì che cerchi di trovare una via di scampo un modo un'idea un'ispirazione, l'unica cosa certa che ti verrà a trovare sarà tutto il resto del mondo che ai tuoi occhi se la cava molto bene, anche e nonostante la crisi universale che colpisce il mondo intero. Oltrepassato tutto questo e superato anche il mal di schiena non ti resta niente. Se non un gran vuoto in cui non emerge davvero niente. Non ci sono fantasie non ci sono desideri non ci sono strategie non ci sono bugie non ci sono soddisfazioni non ci sono passioni travolgenti se non l'ultimo film di Lars von Triers che ha ridato luce e brivido alla vita quasi spenta. Alcuni saggi dicono che questo è il momento migliore perchè le cose possano accadere. Ma quali cose?
Ora in questa catastrofica visione della vita la casa della Signora Maria è stata occupata dalla Singnolina Anna e dico proprio Signolina pelchè lei arriva dalla Cina e ha continuato l'attività sartoriale della defunta. Al principio era un po' difficile perchè Anna e le sue sorelle non parlavano affatto italiano. Allora tu armato di buona volontà ti affacciavi alla sua casa negozio e cercavi di farti capire con frasi elementari “io bisogno di orlo pantaloni capire tu orlo pantaloni?”. Lei comunque non capiva una parola e le sue sorelle pure, e non si capisce perché tutti quanti si sforzavano di parlare (con lei) un italiano privo di verbi di aggettivi e di senso logico. In poco meno di un mese i clienti avevano peggiorato il loro italiano base, sostituito le elle con le erre e viceversa tanta era la confusione ed erano tornati a casa con pantaloni al ginocchio aspettandosi un semplice orlo. Ma la comunità non si voleva rassegnare. Anche perché tutte le sarte del quartiere ormai parlavano solo cinese. Sarebbe stata un'incredibile perdita di tempo e di pantaloni ricominciare tutto da capo. E Anna divenne la principale sarta di riferimento del mio condominio.

Prima di iniziare il lavoro all'Ufficio catastale, mi sono imbattuta in un altro lavoro che credevo potesse portarmi denaro in tempo veloce e poco faticoso. Fare i braccialetti a casa. Fare i braccialetti a casa significa: ricevere metri e metri di filo che sembra la lenza dei pescatori, pinzette, modelli base da seguire e copiare e quintali e quintali di vagonate di perline, stelline, ranocchiette, cuoricini, lunette, soli piccoli medi e grandi, orsacchiotti e tulipani. Insieme ovviamente a gancetti di chiusura, gancetti di apertura, gancetti di rinforzo, gancetti per impiccarsi con la lunga coda dei braccialettini che hai appena composto. Sì. Avevo la casa invasa di roba inutile brutta e soffocante. Ma sarei diventata ricca? No. Non lo sarei diventata. Perchè non avevo considerato che ogni braccialetto richiedeva attenzione e concentrazione, lavorio manuale certosino, piccole dite che cercano di infilare gancetto uno, piccola pallina, gancetto due, altra piccola pallina, incastro uno, sferetta piccola, gancetto tre, piccola pallina, perlina uno due tre quattro e cinque, incastro pallina incastro, orsacchiotto incastro pallina incastro, perlina sei sette otto nove e dieci, incastro pallina incastro orsacchiotto due, perlina undici dodici tredici quattordici quindici e sedici, incastro pallina incastro orsacchiotto tre, gancetto uno, piccola pallina, gancetto due, altra piccola pallina, incastro uno, sferetta piccola, gancetto tre, chiusura, fine. La fine. Un solo braccialetto mezza giornata di lavoro, 25 centesimi, fazzoletto uno piango, fazzoletti due piango ancora, fazzoletto tre il mio fidanzato ride e si soffia il naso.
A confronto il mio lavoro all'ufficio del catasto è un gran passo in avanti. Se avessi vent'anni. Se non avessi consumato la mia vita a dedicarmi ad altro. Ma non devo essere disfattista. Perchè come dicono gli astri, presto cari Leoni ci sarà una sorpresa: “Avete la sensazione di aver perso tutto?” Si, ce l'ho. “Avete la sensazione che vi abbiano rubato qualcosa?”Si ce l'ho. “Avete la sensazione che il vostro fisico abbia risentito di questi ultimi tre anni di Saturno Giove Marte contro?” Sì ce l'ho. “Ora cambierà tutto cari Leoni. Accadranno cose che voi leonini non avete mai percepito, vedrete la luce lì dove ora c'è solo una perlina, ritornerete a sedere sul vostro trono, voi siete Leoni”. Con un oroscopo così mi affretto a fare tutti i compiti che ora potrebbero spettare ad una bilancia o a una vergine. Perchè poi io tornerò con lo scettro in mano e il regno di Danimarca sarà di nuovo mio.

CAPITOLO VENTINOVE

Sono entrati i ladri dentro l'ufficio dove lavoriamo. Hanno portato via la cassaforte. I libri catastali li hanno lasciati lì. C'erano per fortuna pochi soldi dentro. Hanno portato via alcuni computer. Il mio con dentro i codici catastali no. L'hanno lasciato lì. Tra parentesi me lo ero pure portato da casa, che se me lo rubavano mi facevano anche un favore, così mi avrebbero almeno rimborsato di un pc nuovo. Ma no. L'hanno lasciato lì. Hanno rubato perfino la bandiera della Juve. Ma quella del Milano del mio fidanzato no. Quella l'hanno lasciata lì. Per una volta ho riso io invece che lui.
Dopo qualche ora è arrivata la polizia. Ci ha messo qualche ora. E in quell'ora l'ufficio ha ripreso il lavoro. Quando poi sono arrivati hanno pure sbagliato entrata. Trovata la porta giusta si sono messi a gridare “non toccate niente non toccate niente dobbiamo prendere le impronte digitali”. Tutti ci siamo immobilizzati. Non ce lo siamo fatti ripetere due volte. Qualcuno ha pure spento il computer (i pochi rimasti insieme al mio) e telefonato a casa dicendo che sarebbe tornato per pranzo. La Polizia si è diretta nel luogo del furto. Hanno ribadito il concetto delle impronte digitali e tutti li avevamo presi sul serio. Io mi aspettavo un valigetta con guanti e polverina bianca, microscopi e occhiali tridimensionali. Il capo invece si stava agitando, tante persone in piedi a fumare a chiacchierare a parlare a non lavorare, e tutto davanti a lui, era davvero troppo. I poliziotti, quattro, in piedi anche loro, fermi, a guardare non so che a cercare chissà cosa visto che la cassaforte ormai non c'era più. Non dovevano nemmeno capire come fosse entrato il ladro o i ladri perché noi tutti già lo avevamo capito prima di loro. Io ero impaziente. Impaziente di vederli aprire la valigetta. Non avessi scelto la carriera artistica avrei fatto l'agente speciale csi. Ho iniziato la mia gavetta a soli 13 anni con il tenente Colombo, Nero Wolf, la Signora Fletcher poi, Twin Peaks, Poirot, squadra di polizia poco perchè gli italiani sono poco credibili, CSI LA Confidential, I Soliti Sospetti e perfino un Decetive in corsia. Ho imparato ad osservare la gente, a fare le domande giuste, a riconoscere le impronte, notare le scarpe sporche di fango, confrontare gli alibi, pedinare senza essere vista, e molto altro ancora. Ho anche imparato che era molto importante andare in giro con la valigetta, quella speciale degli agenti di polizia in missione. Impaziente. Impaziente di vedere quella scena non in televisione ma di fronte a me, nella realtà. La polizia era lì. Noi eravamo lì. Io ero lì. Impaziente. Impaziente di vedere quella valigetta aprirsi. Ancora una volta gli agenti di polizia esortano a non toccare niente. E nessuno sta toccando niente da ormai venti minuti. A quel punto mi volto verso di loro. E mi accorgo che non hanno niente tra le mani, niente poggiato a terra, niente sopra il tavolo, niente di niente, niente che possa somigliare ad una valigetta da agenti speciali che devono analizzare e riconoscere le impronte digitali di possibili assassini. Se ne accorge anche il capo. Se ne accorgono tutti. Loro non si accorgono di niente fino a quando il super capo dice che il tempo è denaro e che se devono fare quella cosa delle impronte è meglio che la facciano subito. I quattro agenti di polizia si innervosiscono. Si guardano tra di loro e dicono cose tipo “ma non la dovevi prendere tu? Ma no, tu, ma perchè sempre io ...”. Poteva succedere una cosa sola. Che il capo mettesse a lavorare anche loro. Invece ne accadde un'altra. Uno squillo di un telefonino. Con la suoneria di star trek. Uno dei quattro poliziotti in divisa senza imbarazzo rispose. “E' il comandante” disse. Sembrava una cosa seria. Tutti noi cercavamo di ascoltare la conversazione. Di captare qualche segnale. La conversazione si concluse con “va bene comandante, stiamo arrivando”. Solo un breve momento che serviva a spegnere il cellulare e rimetterselo in tasca e guardandoci orgoglioso ci disse “Siamo spiacenti ma dobbiamo andarcene. Siamo stati inviati ad una trasmissione televisiva, ci devono intervistare, ci stanno aspettando. Magari le impronte le prendiamo un'altra volta”. Bè. Certo. Un'altra volta. Vorrebbe dire che rimaniamo qui a fare niente fino a che non tornate voi? Credo sia stato il pensiero di tutti. A parte quello del capo che disse solo “Bene possiamo tornare a lavorare”.